Incidente, malattia, memoria: i dodici racconti della raccolta "Le stelle vicine" di Massimo Gezzi sono tutti costruiti sull'inesorabile legame tra felicità e dolore, "così intrecciati che sembrano la stessa cosa". Ma se una salvezza può esserci, sembra dirci l'autore, non sarà nella letteratura, bensì solo e soltanto negli altri... - L'approfondimento
“Ma qui si sta bene. E le stelle sono così vicine, e la tristezza e il piacere sono così intrecciati che sembrano la stessa cosa”.
Con queste parole di John Steinbeck si apre Le stelle vicine (Bollati Boringhieri) di Massimo Gezzi, dodici racconti costruiti, tutti, su questo inesorabile intreccio tra felicità e dolore: i protagonisti di queste storie sono colti in un attimo decisivo eppure banalissimo della loro vita, che mostra il tentativo di isolare degli istanti di felicità che sono, tuttavia, sempre messi in pericolo dall’incidente, dall’imprevisto – “felicità raggiunta, si cammina per te sul fil di lama”, direbbe un poeta caro a Gezzi.
Non c’è nessuna volontà di ridurre una vita a un istante unico e rappresentativo, nessuna epifania, nessuna occasione, nessun emblema: solo momenti in cui la felicità e il dolore si calano nelle cose, si fanno oggetti, relazioni, sguardi, situazioni, persone e convivono continuamente fra loro, sempre pronti a rovesciarsi l’uno nell’altro. Si tratta di episodi isolati dalla vita dei personaggi che ce li raccontano, e attraverso la loro voce (e alla precisione del linguaggio che di volta in volta la caratterizza) si ricollegano a una intera esperienza di vita che non ha nulla di straordinario: sono storie di amici al bar, di cadute giocando a calcio, di incidenti d’auto, di infermiere, di famiglie disfunzionali, di malattie, di madri malate, di madri morte, di risse sull’autobus.
Personaggi e vicende continuamente colti nelle loro relazioni con gli altri: la felicità, così come il dolore, sono spesso collegate al problema di entrare in rapporto con un altro o a un senso di comunità continuamente ricontrattato, ricercato e complesso.
Non a caso non c’è tanta analisi psicologica in questi racconti, ma piuttosto una messa in scena di gesti, di azioni, di contatti con l’altro che avvengono soprattutto attraverso la sfera sensoriale, la vista, dei colori, di una scena che si cerca invano di fermare, di bloccare nella memoria; o il tatto, che mette in scena un’esperienza vissuta soprattutto attraverso il corpo; ma soprattutto l’olfatto: tutti questi personaggi entrano in relazione con il mondo attraverso il naso, un modo appunto per cogliere la vita nei suoi tratti più sensibili, più intimi, più confortevoli o disagianti – e non a caso, basti rileggere quel bellissimo saggio sulla Sociologia dei sensi di Simmel dove si legge che “l’odore penetra per così dire in forma gassosa nel cuore della nostra interiorità sensibile”.
E a questa quotidianità Gezzi non fa sconti: la mette in forma con lucidità e ferocia, pur conservando uno sguardo compassionevole, nel senso etimologico del termine: una delle forze de Le stelle vicine è proprio questa capacità di guardare il dolore senza cadere nel patetico e nel sentimentale pur non cedendo, tuttavia, a una facile estetizzazione della sofferenza: nessun piacere, nessuna bellezza nel dolore, ma solo la consapevolezza di un rapporto dialettico fra la felicità e la pena, che possono paradossalmente convivere, nonostante la presenza dell’altra e non in virtù dell’altra, ma possono anche escludersi, cancellarsi all’improvviso (e non a caso l’incidente è uno dei fili che tengono assieme queste storie, e con esiti assolutamente diversi: dall’ambiguità alla sospensione, dalla rimozione alla catastrofe, dall’amara ironia alla risata liberatoria).
L’incidente è molto spesso legato alla malattia: un tumore che si manifesta all’improvviso, un omicidio colposo cui si reagisce con una amnesia, una donna malata di Alzheimer, una paziente dimessa dall’ospedale e che si dimentica dell’infermiera che l’aveva aiutata. Incidente, malattia e memoria sembrano essere strettamente connessi nell’esperienza di questi racconti che, continuamente, tornano sul problema del ricordo: che si tratti della nostalgia per un tempo perduto (in cui si fumava nei bar o si giocava ancora con il flipper) o della rimozione del trauma.
L’oblio, la dimenticanza, lo strenuo sforzo di bloccare il tempo inevitabilmente destinato allo scacco, la rimessa in discussione del passato sono sempre, qui, connessi ai modi in cui i personaggi di Gezzi interagiscono fra di loro e convivono con la propria felicità e il proprio dolore.
Al dolore, molto spesso, i personaggi rispondono con delle forme di esperienza vicaria: così il protagonista del primo racconto si rifugia nei videogiochi e nella letteratura, il bambino del Salto del pesce spada inventa un racconto delle sue vacanze estive per rimuovere un’esperienza dolorosa, la ragazza de La prima cellula si rifugia nel disegno per sopportare la malattia della sorella: ma tutti questi tentativi si rivelano per essere appunto vicari, incapaci di sostituirsi davvero alla vita. Se una salvezza può esserci, sembra dirci Le stelle distanti, non sarà nella letteratura, ma forse solo e soltanto negli altri.
Fonte: www.illibraio.it