“La penitenza” di Eliza Clark, un romanzo che gioca con la verità (e mette in discussione i fan del true crime)

di Elena Marinelli | 20.09.2024

Siamo incerti su chi ha fatto cosa. Siamo incerti sul come e sul perché, che sono i due moventi principali della lettura. Siamo noi come lettori/spettatori/ascoltatori di true crime che siamo in discussione: alla scoperta di "La penitenza", originale romanzo dell'inglese Eliza Clark, un riflettore puntato su come i casi di cronaca nera vengono trattati, e ricostruiti, in una narrazione spesso rielaborata, manipolata, che finisce per cancellare il confine tra la realtà e il suo stesso racconto


Alec Z. Carelli è un giornalista e scrittore di cronaca nera, che con quattro libri non riesce ad ottenere il successo che desidera. Sta cercando il riscatto, quando si imbatte in un caso di un omicidio di una adolescente a opera di tre compagne di scuola.

Il posto dove avviene il fatto, Crown-On-Sea, è una cittadina inglese sul mare dello Yorkshire del Nord, in cui sembrano concentrarsi troppi misteri, misfatti e adolescenti emotivamente complicati. Quando legge la notizia, Carelli è attratto dal contorno: il luogo, il modo, la comunità che viene coinvolta suo malgrado.

La penitenza di Eliza Clark

Il racconto dell’omicidio di Joan Margaret Wilson, avvenuto il 23 giugno 2016, apre il romanzo di Eliza Clark La penitenza (Bollati Boringhieri, traduzione italiana di Francesca Manfredi) e il narratore della storia, Alec Z. Carelli, ci mette a parte non solo dell’identità della vittima ma anche delle colpevoli: Violet Hubbard, Angelica Stirling-Stewart e Dorothy “Dolly” Hart. È Joan stessa che riesce a dare i nomi delle sue carnefici, prima di morire; dunque, non c’è il minimo dubbio di colpevolezza.

Arrestate, loro stesse confessano, vengono processate e mandate in istituti di correzione minorile o in carcere e nella ricostruzione della vicenda danno dettagli incoerenti, si accusano l’un l’altra e restituiscono una verità dei fatti parziale.

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“Le ragazze cominciarono a frequentarsi a seguito di una serie di circostanze. Trascorsero gran parte dell’anno precedente all’omicidio rinchiudendosi sempre di più in una specie di mondo inventato – quasi un culto, alimentato dalle ossessioni e dalle ire di ciascuna ragazza. Joan Wilson divenne il loro bersaglio. Sia per cose che aveva fatto, sia per cose che le ragazze si erano solo immaginate.
Era tutto per finta. Finché poi non lo fu più”.

Il concetto stesso della ricostruzione plausibile è al centro della storia, è uno dei temi su cui si arrovella questo romanzo, perché riannodare i fili della storia, quando le voci sono molteplici e diverse, può non avere una sola soluzione possibile. Ri-costruire significa anche dare un nuovo volto alle cose: nella narrazione che ripercorre la vicenda, Carelli annota e illumina gli aspetti che più di altri sembrano interessanti, con l’intento di fornire una versione “definitiva” alla vicenda.

Il crimine in sé è privo di qualunque tipo di indagine investigativa: sappiamo chi, dove – in un bungalow sul lungomare di proprietà del padre di Angelica – come – bruciando viva la vittima – e non siamo certi del perché. Il movente è lasciato sfocato da un lato: aleggerà per tutto l’arco del racconto. Carelli, infatti, dettaglia fin da subito la cronologia dei fatti, nomina ogni persona che è stata a contatto con la vittima la notte in cui è stata uccisa, descrive dove e come è stato commesso il reato. Ciò che risulta interessante, invece, è il motivo, completamente personale, che lo spinge a interessarsi all’accaduto, a ricostruirlo nei minimi particolari, a colorare le persone coinvolte delineando il contesto, le relazioni tra loro e dedicando gran parte del suo racconto a ciò che l’omicidio non rivela: la meschinità adolescenziale, la difficoltà a trovare la propria identità e a trascorrere le ore in un liceo inglese come tanti altri, in cui si lotta quotidianamente per la sopravvivenza emotiva.

La ricostruzione che interessa a Carelli, infatti, è quella emotiva: l’indagine della cronaca, lui che di cronaca si è cibato da sempre, in fondo non è utile in questo caso perché a voler sciorinare solo i fatti, nudi e crudi, sembra che sfugga qualcosa nel profondo delle intenzioni.

Il motivo del racconto e il movente dell’omicidio fanno parte dell’implicito della ricostruzione: chiunque sia appassionato di true crime o di investigazione sa che il perché è più forte di qualsiasi altra leva di interesse. Vogliamo scoprire l’assassino, ma ci interessa di più capire le motivazioni del delitto e tanto più il crimine è efferato o incomprensibile quanto più la ricerca del perché diventa una questione primaria.

Carelli non si limita a ricostruire gli eventi, ma si trasferisce per un certo periodo a Crown-On-Sea nel 2019. Carelli viene a scoprire di questo caso tramite siti internet dedicati al true crime e in un periodo in cui questo tipo di racconto iniziava la sua potente ascesa.

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Mentre cerca un caso di cui scrivere e decide che quello di Joni Wilson faccia al caso suo, tanto da passare del tempo nella comunità di Crown-On-Sea, per intervistare le famiglie, gli amici e la cittadina tutta; il suo intento è dare un quadro complesso e a tutto tondo della vicenda, convinto del fatto che l’omicidio di Joan Wilson è il risultato di una serie concatenata di eventi. Ciò che gli interessa è la ricostruzione “emotiva” della vicenda, quell’insieme di situazioni, pulsioni e sentimenti senza i quali non ci sarebbero state le protagoniste, le vittime, le carnefici, i personaggi secondari. Dal racconto di Carelli sembra che l’omicidio della giovane sia stato il risultato inevitabile di una serie concatenata di eventi, soprattutto sentimentali e profondi che, concatenandosi nell’arco di anni, hanno prodotto una tragedia.

Joan Wilson è stata torturata e bruciata viva da tre coetanee che conosceva e con cui aveva intrattenuto relazioni più o meno conflittuali fin dalla sua infanzia e per farci comprendere perché ciascuna delle loro storie è rilevante, Carelli dedica a ognuna un ritratto letterario e drammatico della loro breve vita, attraverso le interviste ai genitori e ai conoscenti e a una comunicazione epistolare con due delle accusate – Violet e Angelica.

Abbiamo la sensazione costante di stare dentro una ricostruzione fedele e plausibile, in cui ogni efferatezza trova posto. Siamo certi di comprendere le condizioni in cui si sono verificati gli eventi: ci ritroviamo in ognuna di quelle famiglie e pensiamo di capirne le contraddizioni e gli errori, addirittura rintracciamo il momento preciso in cui un genitore ha detto o fatto la cosa sbagliata o il compagno di classe ha sussurrato la frase peggiore possibile tra un’ora e l’altra di lezione.

Ci dimentichiamo di un dettaglio importantissimo per la quasi totalità della lettura: è qui che il romanzo si compie, si realizza la metanarrazione: Eliza Clark agisce per mano di un giornalista che, mettendo in dubbio la verità, ne eleva gli spigoli e le ombre e ci fa credere che ogni cosa sia la verità per poi lasciarci con il dubbio più insoluto: cos’è davvero la verità? Dove risiede? Chi la può raccontare?

Clark usa l’espediente del true crime, della nostra abitudine a questo genere diventato così comune e popolare per raggirarci e per dirci che la verità, nel momento stesso in cui diventa racconto, non è più sicura, non ha più valenza morale. Svanisce quasi e si trasforma e la perdiamo, così come accade a Alec Z. Carelli che è abituato alla cronaca ma si lascia andare al racconto: sceglie la strada della narrazione per rendere la cronaca più accattivante, più umana, adatta all’immedesimazione.

Siamo incerti su chi ha fatto cosa. Siamo incerti sul come e sul perché, che sono i due moventi principali della lettura. Siamo noi come lettori/spettatori/ascoltatori di true crime che siamo in discussione. Lo sono i podcaster che si cibano di questo tipo di eventi e ne fanno parodia o humor nero; in questo modo Clark esce addirittura dal racconto dei fatti e si porta al livello della narrazione stessa per mettere in discussione anche l’utilità ultima del racconto della vita vera.

La penitenza è dunque un romanzo che gioca con la verità, passandole attraverso e sfilacciandola. Seziona i fatti, usando anche registri differenti – post sui social, estratti di podcast, lettere, prosa – ma confonde le intenzioni di raccontarli, e questo gioco di cuciture tra ciò che è vero e ciò che non lo è si mescola anche nella lettura.

Il racconto è vivo, vibra sezione dopo sezione e tiene attaccati alle pagine: anche se sappiamo tutto rimaniamo semplicemente invischiati nel racconto, nella profilazione delle assassine e della vittima, nelle confessioni degli adulti, nelle testimonianze della sorella di Dolly e della sua ex fidanzata. Seguiamo i nodi fino alla fine, fino all’ultima intervista che mette in dubbio la verità e la svela, lasciandoci, infine, dubbi sul nostro ruolo, non soltanto su quello di Carelli, e su tutta l’attenzione riservata alla storia fino a lì.

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Fonte: www.illibraio.it