“Il tempo dei padri” (finalmente anche per la biologia)

di Michele Luzzatto | 22.09.2024

Sembra(va) ovvio che le donne si occupino dei bambini e gli uomini di altre cose. Ovvio e naturale: del resto, è sempre stato così. Anche in biologia, per decenni, le cose si sono raccontate in questo modo... Ma per fortuna, anche se lentamente, il mondo sta cambiando, ed è in crescita il numero di uomini che si occupa dei bambini fin dalla nascita. Nel saggio "Il tempo dei padri - L'instinto maschile nella cura dei figli", la nota antropologa americana Sarah Blaffer attinge a numerose ricerche recenti per sostenere che questa trasformazione non è solo culturale, ma ha anche fondamenti biologici.: gli uomini a contatto intimo e prolungato con i piccoli, infatti, cambiano profondamente...


Esiste in Sudamerica un gruppo di piccole scimmie dalla biologia piuttosto singolare. I Callitricidi (tamarini, uistitì e scimmie affini) sono di dimensioni ridotte, deliziosi a vedersi e vivono per lo più in piccoli gruppi nei quali il ruolo dei padri nell’accudimento della prole è fondamentale. Le madri, che si accoppiano in maniera piuttosto libera, allattano i cuccioli, ma quasi tutto il resto è sulle spalle dei maschi del gruppo. I padri sono talmente coinvolti nella cura della prole che il segno premonitore più evidente del fatto che una femmina è incinta è dato dall’aumento di peso dei maschi, che sembrano in qualche modo “prepararsi” al duro lavoro che li attenderà una volta nati i piccoli.

E c’è di più: i neonati, spesso frutto di parti gemellari, sono in un certo senso figli di tutti. Le placente delle femmine di queste specie, infatti, hanno una particolare vascolarizzazione che permette il passaggio di cellule embrionali da un feto all’altro, di modo che le scimmiette che nasceranno risultano essere delle chimere, ovvero individui formati da un mosaico di cellule diverse, provenienti da spermatozoi di maschi differenti. Ogni nuovo nato è quindi letteralmente figlio di più padri, e ogni maschio è padre di tutti e si dà da fare in accordo con gli altri di conseguenza. La società che ne deriva somiglia decisamente più alla pacifica Città del Sole di Tommaso Campanella che alla violenta “natura rossa di zanne e artigli” del poeta romantico Alfred Tennyson. Chiedete a un tamarino se sia giusto o meno che i maschi si prendano cura della prole e lui vi guarderà stupito: «Perché? C’è un’alternativa?».

D’altra parte in India esistono gli entelli, dei Cercopitecidi che si comportano in modo molto diverso. Riuniti in bande strutturate attorno a un maschio dominante, subiscono regolarmente attacchi da parte di bande rivali. Quando un nuovo maschio prende possesso di un gruppo, la sua prima azione è quella di uccidere i figli del maschio precedente, lavoro raccapricciante che svolge con la determinazione e la cura di un Terminator per assicurarsi che il DNA della generazione successiva sia il suo e non quello di qualcun altro. Qui Tennyson vince su Campanella sei a zero. Inutile dire che la cura della prole negli entelli è tutta sulle spalle delle femmine.

il tempo dei padri

Per chi pensa che la biologia di una specie abbia un ruolo importante nel determinare il tipo di società, qui abbiamo due esempi apparentemente molto chiari: i tamarini sono indotti dal loro particolare sistema di riproduzione a dare vita a una società pacifica e collaborativa, nella quale i maschi sono amorevolmente accudenti; gli entelli, invece, sono una sorta di emblema del peggiore patriarcato, coi maschi-padroni che in maniera violenta impongono la loro legge, e più che essere amorevoli coi cuccioli, di fatto rappresentano la loro principale causa di morte.

Ma finché si parla di entelli e tamarini, il dibattito viene facilmente derubricato alla voce “curiosità naturalistiche”. Il gioco si fa invece interessante quando si parla di noi, Homo sapiens.

Per molto tempo il modello che ha guidato le ricerche sull’accudimento dei neonati nella nostra specie si avvicinava più agli entelli che ai tamarini, in parte perché i numeri sembravano orientare la ricerca verso quella direzione (solo il 5% dei mammiferi presenta qualche grado di cure paterne della prole; e tra le società umane le cose non vanno diversamente), in parte perché lo stesso Charles Darwin, nell’Origine dell’uomo (1871), aveva di fatto avallato questa visione: “L’uomo [maschio] invece rivaleggia con i suoi simili; gli piace competere, e questo lo porta ad essere ambizioso, il che costituisce il primo passo verso l’egoismo. Tali qualità sembrano essere un suo naturale sfortunato diritto di nascita“. È vero che il padre dell’evoluzione scrive “sfortunato”, quasi rammaricandosi di questo stato di cose, ma è anche vero che scrive “naturale”, come a dire che se negli umani la prole viene affidata alle femmine e non ai maschi significa che le cose stanno così, che ci volete fare? Magari noi non uccidiamo i figli degli altri, siamo più civili, ma è nell’ordine delle cose che i maschi si dedichino alla competizione mentre le femmine si dedichino a cambiare i pannolini.

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E questo ha costituito una giustificazione per molto tempo. Ma poi non è stato più così. Cosa dobbiamo pensare, infatti, del profondo e radicale mutamento di costumi degli ultimi decenni? È dettato esclusivamente dalla cultura? Perché è un fatto che i giovani padri di oggi si comportano coi figli in maniera molto diversa da come si comportavano i padri di una o due generazioni fa.

In Occidente c’è stato un cambiamento evidente, che è sotto gli occhi di tutti, e oggi è sempre più frequente che la cura dei neonati sia condivisa in maniera via via più paritaria tra i due genitori; sono sempre di più i padri che prendono un congedo di paternità, ad esempio, lasciando che siano le madri a “competere” sul posto di lavoro. E oltre tutto, secondo tutti gli standard questi nuovi padri se la cavano benissimo. È dunque in atto un’evoluzione puramente culturale, in qualche modo “contro natura”? La domanda è tutt’altro che oziosa, perché a seconda di come rispondiamo ne possono derivare politiche sociali differenti, che andranno a influenzare le vite delle giovani coppie nella loro quotidianità, per non parlare di quanto può accadere alle coppie omogenitoriali che adottano un figlio. I risvolti squisitamente politici di queste domande sono più che evidenti.

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Ebbene, per molto tempo la biologia si era un po’ adagiata sui sanguinosi versi di Tennyson e aveva preso per buone le conclusioni di Darwin, senza darsi la pena di indagare oltre. Oggi, tuttavia, i conti non tornano più e forse è giunto il momento di rivedere il paradigma. È proprio questo che ha fatto Sarah Blaffer Hrdy nel suo Il tempo dei padri (Bollati Boringhieri, traduzione di Gianna Cernuschi), un libro che ha le carte in regola per essere definito rivoluzionario.

Certo, anche la cultura gioca un ruolo importante, ma non basta a spiegare il comportamento di così tanti (sempre di più) giovani uomini; ci deve essere qualcosa di più profondo in azione, qualcosa di legato alla nostra natura, alla nostra biologia, se è vero – come è vero – che i padri che oggi accudiscono i loro figli e che stanno a lungo in contatto con loro vanno persino incontro a mutamenti fisiologici, del tutto paragonabili a quelli delle madri.

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Nuovi dati, derivati da ricerche svolte su numerose coppie, eterosessuali e omosessuali, mostrano infatti che non solo il comportamento dei padri accudenti nei confronti dei figli è indistinguibile da quello delle madri, ma che persino il cambiamento dei livelli ormonali nel loro sangue, che era ben noto per le neomamme, risulta indistinguibile tra i due sessi quando gli uomini si fanno effettivamente carico dei neonati.

Semplicemente, nessuno prima si era dato la pena di misurare gli ormoni negli uomini, tanto eravamo sicuri che i ruoli fossero “naturalmente” divisi tra i due genitori, coi maschi a competere e le femmine a prendersi cura. Ora sappiamo che chi si prende cura dei figli va incontro a cambiamenti profondi anche della propria fisiologia, ed è indifferente che sia maschio o femmina.

Non c’è proprio nulla di “contro natura” qui: mettete un papà a contatto prolungato con suo figlio e il suo comportamento cambierà di conseguenza. Si farà più tamarino e meno entello, per così dire, e forse, alla lunga, la società che ne deriverà sarà un po’ più simile alla Città del Sole di Campanella che alla “natura rossa di zanne e artigli” di Tennyson.

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L’AUTORE – Michele Luzzatto è il direttore editoriale di Bollati Boringhieri.

Fonte: www.illibraio.it