In questo piccolo e operoso mondo, dove il tempo è scandito dal lavoro e dalle pratiche religiose, nascono i due figli di Reb Hirsh Ashkenazi, opposti nel carattere fin dalla prima infanzia: Jakob Bunin, vitale e generoso, rappresenta la forza naturale e la gioia di vivere, mentre Simcha Meyer, introverso e abile negli affari, riversa la sua febbrile inquietudine nell’imprenditoria. Il turbine della vita porterà Jakob ad affermarsi con il suo talento di comunicatore, mentre Simcha, miscuglio di cupidigia e lungimiranza che tutto travolge in nome del profitto, sarà protagonista di una spregiudicata ascesa economica. Attorno a loro si svolgono i grandi eventi della Storia, le passioni e le vicende minime di una folla di personaggi uniti dalla comune spiritualità ebraica, che sfociano in conflitti generazionali e talora nel distacco dalla tradizione dei padri.
Nelle pagine di questo imponente romanzo-fiume apparso nel 1936, Israel J. Singer seppe dare con incredibile capacità epica la rappresentazione di un mondo e di una civiltà che di lì a poco sarebbe stata ferocemente annientata. E con il passo del grande narratore ci attira in una storia dove la tenerezza e la perversione, l’ordine e il caos, le vicende e i personaggi compongono l’imperturbabile rappresentazione detta vita stessa. Tra i grandi capolavori della letteratura yiddish, solo La famiglia Moskat di Isaac B. Singer – fratello minore di Israel –, può essere accostato a questo romanzo appassionante in cui, dipanandosi in un groviglio di esistenze, rivive il mondo formicolante di vita di quella parte dell’Europa che fu la culla del patrimonio umano, linguistico e culturale degli ebrei orientali. Chi oggi voglia conoscere quel mondo legga I fratelli Ashkenazi: che cosa sia stato lo si respira in ogni sua pagina.