15 passi dal forno crematorio allo zoo di Buchenwald – il nuovo saggio di Mohnhaupt

di Redazione | 15.02.2021

Quindici passi dal forno crematorio allo zoo di Buchenwald. Gli animali possono spiegare la bestialità del potere? Si può studiare la propaganda di ieri per capire quella di oggi? In Bestiario nazista Jan Mohnhaupt  dimostra che non solo è possibile, ma anche utile per imparare a decostruire i linguaggi che ci circondano. L’orrore del nazismo […]


Quindici passi dal forno crematorio allo zoo di Buchenwald.

Gli animali possono spiegare la bestialità del potere? Si può studiare la propaganda di ieri per capire quella di oggi?

In Bestiario nazista Jan Mohnhaupt  dimostra che non solo è possibile, ma anche utile per imparare a decostruire i linguaggi che ci circondano.

L’orrore del nazismo raccontato dal giovane storico Jan Mohnhaupt in un saggio che mette in luce il ruolo totemico degli animali nella propaganda di regime.

Bestiario nazista

Jan Mohnhaupt, Bestiario nazista



In questo saggio il giovane storico tedesco scopre un capitolo trascurato della storia del nazionalsocialismo, quello degli animali nella vita quotidiana e nell’ideologia della dittatura. Fonti e documenti per lo più inediti raccontano il modo in cui la propaganda utilizzava gli animali per fomentare l’odio razziale e sostenere la superiorità ariana, fra uomini che diventano bestie, bestie assurte a uomini, animali padroni e animali schiavi.

Le aberrazioni naziste vengono analizzate attraverso la lente di una categoria animale: dal lupo come principio totemico ai leoni di Göring, dai gatti «infedeli quanto gli ebrei» fino ai maiali dominatori, dai milioni di cavalli impiegati sul fronte orientale fino ai coleotteri delle patate utilizzati come arma bellica.
Diari, manuali scolastici, riviste d’epoca mostrano la glorificazione dei bachi da seta, che dovevano sostenere la produzione tessile del Reich, e quella dei cervi, simbolo della primigenia foresta germanica, mentre pidocchi e pulci venivano raffigurati con il tricolore del nemico. E ancora, dai numerosi cani-lupo del «vegetariano» Hitler alle pulci che i prigionieri mettevano nelle divise delle SS, in un estremo atto di ribellione, fino agli orsi dello zoo di Buchenwald, costruito per il diletto delle guardie carcerarie.

Il sorprendente saggio di Mohnhaupt inizia proprio raccontando la storia del «giardino zoologico» a ridosso del campo di concentramento di Buchenwald, le sue regole e l’assurdo mantenimento degli animali. Uno zoo piccolo, che però ospitava scimmie, pesci rossi, voliere piene di uccelli e persino orsi. Questo spazio dedicato esclusivamente ai carcerieri e alle loro famiglie venne interamente costruito dai prigionieri del lager.

Il recinto degli orsi distava infatti appena quindici passi dai forni crematori.

Il fatto che esistesse un luogo per lo svago a pochi metri da dove venivano mandate a morte migliaia di persone ci fa pensare a quanto scriveva Piotr Cywiński, il direttore dell’Auschwitz-Birkenau State Museum, nel saggio Non c’è una fine, da noi pubblicato nel 2017: «Come si è arrivati a questo? La risposta a domande di tale portata è spiacevole e lascia poco spazio a giustificazioni retoriche. In misura maggiore o minore, mostra l’indifferenza umana».

Non c’è una fine

Piotr Cywinski, Non c’è una fine

Un’ulteriore bestiale trivialità imponeva ai prigionieri di Buchenwald, oltre allo sforzo fisico, anche il sacrificio alimentare, dal momento che il cibo per gli orsi veniva sottratto alla loro misera razione quotidiana. La girandola di perversione arrivava a punire alcuni prigionieri, dandoli in pasto agli animali, o a promuoverne altri a custodi degli orsi. Un impiego molto ambito, perché solo i custodi avevano accesso a preziose scorte di carne e miele.

Ad ammaestrare gli animali, inoltre, venivano scelti i prigionieri di etnia sinti o rom, giudicati dai nazisti «naturalmente» predisposti per questo tipo di interazione.

Grazie a una chiave di lettura del tutto originale non solo emergono aspetti poco conosciuti della persecuzione razziale, ma viene anche sfatato il mito del nazismo come ideologia «animalista», portando alla luce le sue folli contraddizioni.

In queste pagine intense, eppure delicate e mai scabrose, si dispiega tutta l’assurdità del potere, insieme alle insidie, sempre in agguato, del suo linguaggio. Un testo illuminante che ci porta fino ai nostri giorni.

 

Vi aspettiamo in libreria il 25 febbraio