Come scrivere un romanzo giallo (o di altro colore) Siamo alla seconda puntata dei preziosi consigli di lettura e di scrittura di Hans Tuzzi, in libreria con l’ultimo romanzo della serie del Vicequestore Melis, Nella luce di un’alba più fredda. Hans Tuzzi, Nella luce di un’alba più fredda – VAI ALLA SCHEDA Qualche anno fa […]
Come scrivere un romanzo giallo (o di altro colore)
Siamo alla seconda puntata dei preziosi consigli di lettura e di scrittura di Hans Tuzzi, in libreria con l’ultimo romanzo della serie del Vicequestore Melis, Nella luce di un’alba più fredda.
Hans Tuzzi, Nella luce di un’alba più fredda – VAI ALLA SCHEDA
Qualche anno fa Hans Tuzzi pubblicò Come scrivere un romanzo giallo (o di altro colore), un vademecum essenziale, di cui riportiamo qui alcuni passaggi fondamentali.
Alla fine di questo percorso a puntate, se avrete la pazienza di seguirci, sarà possibile scaricare gratuitamente una guida in pochi passaggi per avvicinarsi al mondo della scrittura e capire se davvero, per scrivere bene, sia sufficiente attenersi a una lista di regole.
COME AGGANCIARE IL LETTORE, DAL VOLUME COME SCRIVERE UN ROMANZO GIALLO (O DI ALTRO COLORE)
© 2017 Bollati Boringhieri editore
L’incipit
Come prendere all’amo il lettore? Voglio dire, come prendere all’amo il lettore facendo letteratura, non marketing editoriale? E cosa vuol dire, esattamente, fare letteratura?
Un inizio perfetto è sempre qualcosa di buono.
Tuttavia, può ritorcesi contro il risultato finale. Se la narrazione, infatti, non riesce a conservare quel ritmo, e non mantiene le promesse contenute in un così brillante attacco, il lettore può sentirsi in proporzione assai più deluso.
Prima di procedere a parlare di questo rischio, mi occorre però una precisazione. Quando dico «un inizio perfetto» non mi riferisco necessariamente alla frase talentuosamente niellata dopo averla forgiata con perizia degna del «miglior fabbro», quel misto di letteratura cortigiana e scintillante moderna sintesi pubblicitaria nella quale molti – a mio parere a torto – sembrano oggi identificare l’arte di scrivere. E per meglio chiarirlo, cito qui tre attacchi del miglior incipitista del Novecento:
Una mattina Gregor Samsa, destandosi da sogni inquieti, si trovò mutato, nel suo letto, in un insetto mostruoso.
Qualcuno doveva aver calunniato Josef K. poiché senza che avesse fatto alcunché di male una mattina venne arrestato.
Era tarda sera quando K. arrivò. Il paese era affondato nella neve.
Non una parola scintilla, e la successione grammaticale e sintattica non ha funambolismi. Ma la nostra attenzione è già catturata. Perché? La risposta è: magistrale arte dell’anticipazione.
Ritmo
Il ritmo narrativo è una delle poche doti di un narratore che si possono affinare con esperienza e studio. Basti qui un esempio, ancora Manzoni: pagine e pagine buttate, sostituite da una sola frase, con un risultato memorabile. La sventurata rispose. Resta la domanda: perché certi romanzi, anche difficili, ci incatenano alle pagine e altri no? Forse, è anche una questione di prospettiva.
Prospettiva
L’Isola del tesoro ci fornisce alcuni spunti interessanti. Il primo titolo, poi per nostra fortuna scartato, Il cuoco del mare, faceva evidente riferimento a Long John Silver, confermando la centralità del villain (e l’idea che il mare delle storie richiede una cucina). Inoltre, elenca i debiti verso altri autori, da Defoe a Irving («l’acqua rubata disseta di più» ammette).
Quindi si abbandona a una confessione interessante: «ho sfornato quindici capitoli, poi, arrivato ai primi paragrafi del sedicesimo, ho per – so il controllo sul mio materiale in modo disonorevole»). Succede, soprattutto quando c’è di mezzo una trama. E allora? Sull’orlo della disperazione, fa la cosa più saggia, l’unica utile in questi casi: abbandona la presa.
Parte per Davos: «mi risolsi a pensare ad altro… Giunto a destinazione, una mattina mi sedetti al tavolo con davanti il mio racconto interrotto e, forse non ci crederete, questo cominciò a fluire con la facilità di una chiacchierata, così, in una seconda ondata di gioiosa laboriosità, e di nuovo al ritmo di un capitolo al giorno, finii L’isola del tesoro».
Personalmente non ho alcuna difficoltà a credergli, avendo sperimentato più di una volta la stessa situazione. Il punto interessante è che qui abbiamo un blocco strutturale. E questo è qualcosa che chiunque, bravo o no, avverte in modo chiaro. Accade. Anche ai migliori. Un blocco che, in genere, si risolve da solo nei piani bassi dell’inconscio. Il bravo scrittore, invece, dovrebbe dubitare di sé anche là, e talvolta soprattutto là dove tutto sembra scorrere sin troppo facile e non si verifica alcun blocco formale. L’eccesso di facilità formale può essere spia di una disonestà verso sé stessi o verso i lettori.
In conclusione
Tutto questo, sì, le scuole ce lo potranno anche spiegare, potranno ridurlo a formule e a schemi. Ma insegnare, no. Dovremo entrarci noi, da soli. Perché per la scrittura, ecco, vale lo stesso precetto dello sport: l’allenatore può essere molto importante, ma se non sei un atleta, non lo sei e punto, chiunque sia il tuo maestro. Un po’ quel che diceva uno dei maggiori teorici del formalismo, Viktor Šklovskij: «Gli scrittori fanno la loro comparsa in letteratura in modo vario; con prefazione o senza. Gli scrittori con prefazione, di norma, non hanno vita lunga».