Di rado un’opera filosofica raggiunge il triplice obiettivo di elaborare una nuova teoria, disarticolare con rigore implacabile gli argomenti degli avversari e toccare l’apice espositivo del saggismo. Tre esiti che conferiscono a La riscoperta della mente la statura di un classico.
Riscoprire la mente: per John R. Searle, un imperativo tanto più indifferibile quanto più ostacolato da indagini che giudica svianti. Vede intere tradizioni filosofiche annaspare alla ricerca dell’essenza del mentale, e scienze recenti abusare insensatamente di modelli computazionali o informatici. Ma l’oggetto continua a sfuggire alle loro formule prive di potenza esplicativa: «“Lì dentro ci sono degli enunciati invisibili!” (il linguaggio del pensiero); “Lì dentro c’è un programma per calcolatore!” (cognitivismo); «“Lì dentro ci sono solo relazioni causali” (funzionalismo); “Lì dentro, non c’è nulla! (eliminativismo)». Perché, nonostante la «brama di significato» spesso spinga a ipotizzare regole profonde inconsce, non si riuscirà a studiare davvero la mente se non si partirà dalla coscienza come fenomeno naturale soggettivo e qualitativo, dotato di intenzionalità. Eseguendo fino in fondo il compito di «dare alla coscienza il posto che le spetta nella nostra generale concezione del mondo e nel complesso della nostra vita mentale», Searle approda a una compiuta e originale filosofia della mente, antimaterialistica, antidualistica, anticomportamentistica e anticognitivistica.
Di rado un’opera filosofica raggiunge il triplice obiettivo di elaborare una nuova teoria, disarticolare con rigore implacabile gli argomenti degli avversari e toccare l’apice espositivo del saggismo. Tre esiti che conferiscono a La riscoperta della mente la statura di un classico.
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Di rado un’opera filosofica raggiunge il triplice obiettivo di elaborare una nuova teoria, disarticolare con rigore implacabile gli argomenti degli avversari e toccare l’apice espositivo del saggismo. Tre esiti che conferiscono a La riscoperta della mente la statura di un classico.