"Sei donne che hanno cambiato il mondo - Le grandi scienziate della fisica del XX secolo" racconta sei icone della scienza novecentesca. Grazie al loro esempio abbiamo avuto altre donne, che hanno fatto un po’ meno fatica a farsi largo - Su ilLibraio.it un estratto dedicato a Mileva Marić (nella foto)
I sei brevi romanzi in cui perdersi nel libro Sei donne che hanno cambiato il mondo – Le grandi scienziate della fisica del XX secolo (Bollati Boringhieri), firmato da Gabriella Greison, sono quelli di Marie Curie (1867-1934), Lise Meitner (1878-1968), Emmy Noether (1882-1935), Rosalind Franklin (1920-1958), Hedy Lamarr (1914-2000) e Mileva Marić (1875-1948). Per molti saranno nomi sconosciuti, eppure queste sei donne sono state delle pioniere. Sono nate tutte nell’arco di cinquant’anni e hanno operato negli anni cruciali e ruggenti del Novecento, che sono stati anni di guerre terribili, ma anche di avanzamenti scientifici epocali.
C’è la chimica polacca che non poteva frequentare l’università, la fisica ebrea che era odiata dai nazisti, la matematica tedesca che nessuno amava, la cristallografa inglese alla quale scipparono le scoperte, la diva hollywoodiana che fu anche ingegnere militare e la teorica serba che fu messa in ombra dal marito.
Le sei eroine raccontate da Gabriella Greison non sono certo le sole donne della scienza, ma sono quelle che forse hanno aperto la strada alle altre, con la loro volontà, la loro abilità, il talento e la protervia, in un mondo apertamente ostile, fatto di soli uomini. Sono quelle che hanno dato alla scienza e a tutti noi i risultati eclatanti delle loro ricerche e insieme la consapevolezza che era possibile – era necessario – dare accesso alle donne all’impresa scientifica. Non averlo fatto per così tanto tempo è un delitto che è stato pagato a caro prezzo dalla società umana.
Sono sei storie non sempre sono a lieto fine, perché sono racconti veri, di successi e di fallimenti. Ma è grazie a queste icone della scienza novecentesca e al loro esempio che abbiamo avuto poi altre donne, che hanno fatto un po’ meno fatica a farsi largo e ci hanno regalato i frutti del loro sapere e della loro immaginazione.
Su ilLibraio.it un estratto da sesto capitolo
Mileva Marić
Le poinçonneur des Lilas, di Serge Gainsbourg
Album: Du chant a la une!
(anno 1958, chanson francaise)
La vita di Mileva Marić mi ha sempre affascinato, come quella di tante altre grandi donne che si sono dimostrate fondamentali a fianco di grandi uomini.
Mileva Marić ha il fascino della cattiva, del villain che in certi film americani ti costringe a prendere le sue parti, e speri che non muoia. Ha le sembianze di Kevin Spacey nei Soliti sospetti, o di Glenn Close in Attrazione fatale. Insieme ad Albert Einstein, i due me li sono sempre immaginati come Warren Beatty e Faye Dunaway in Gangster Story, ma impegnati in uno studio colossale che termina con la nascita della teoria della relatività. Due tipi tosti, che non si fermano davanti a niente, come i Bonnie and Clyde cantati da Serge Gainsbourg e Brigitte Bardot. Eppure, ai giorni nostri, la storia che ci è giunta su questa donna è tutt’altro che romantica, anzi è livida, quasi rancorosa, e non si può dire che sia un personaggio amato dal pubblico.
Non quanto la amo io, almeno.
Molte persone – e, si sa, la massa segue sempre le ipotesi più complottiste – la considerano addirittura un’usurpatrice. In ogni caso, la sua storia è bellissima. E completamente diversa da quelle delle altre donne che racconto in questo libro. È la storia di un sodalizio, di una collaborazione, di una condivisione e di una dedizione totale verso il proprio marito. E, esattamente come Bonnie e Clyde (sfido qualsiasi donna a non ammirare un rapporto magnifico come il loro), il finale non poteva che essere drammatico e disastroso.
Partiamo dalla traduzione di «Einstein», che in tedesco significa «una pietra», una sola. Con questo significato Mileva Marić definiva la coppia formata da lei e dal marito Albert Einstein. Ed è la stessa Mileva che risulta essere un tipo schivo, timido, riservato, al punto che chi l’ha conosciuta ha raccontato che era lei a non voler essere nominata insieme al grande Albert. Ma al di là di tutto, Mileva merita in ogni caso di essere ricordata per la sua intelligenza, per la straordinaria capacità della sua mente scientifica. Perché non deve essere ricordata solo come la moglie di Albert Einstein, ma a buon diritto come una scienziata.
Nel 1982 la sua biografa, Desanka Trbuhovic-Gjuric, ha portato alla luce indizi che farebbero pensare a una consistente partecipazione di Mileva nello sviluppo della teoria della relatività e in tutto il lavoro del giovane Einstein in generale. Ci sono lettere e dichiarazioni che lo lascerebbero supporre. In una delle lettere Albert si rivolge alla moglie usando il «noi» in relazione al suo lavoro teorico: «Anch’io sono molto contento dei nostri nuovi lavori. Adesso devi proseguire la tua ricerca». Oppure: «Come sarò felice e orgoglioso quando avremo terminato con successo il nostro lavoro sul moto relativo! Quando osservo le altre persone, apprezzo sempre più le tue qualità!». Inoltre, il fisico russo Abraham Fedorovič Ioffe (1880-1960), in Germania per gli studi di dottorato, guardando tra le carte della rivista «Annalen der Physik», dove lavorava come assistente, ebbe modo di vedere i manoscritti originali dei lavori dell’annus mirabilis einsteiniano del 1905, e dichiarò che erano firmati Einstein-Marity (che sarebbe una variante ungherese del nome Marić).
Einstein e Marić si separarono nel 1919, con un divorzio lungo e faticoso. Mileva prese i loro due figli con sé e continuò da sola a curarli e a crescerli (uno era gravemente malato). Nel 1921 Einstein vinse il premio Nobel per l’effetto fotoelettrico, argomento su cui Mileva aveva molto da dire, dal momento che all’università, in Germania, aveva frequentato il corso del professor Lenard, famoso per i suoi esperimenti proprio sull’effetto fotoelettrico e sui raggi catodici. Einstein devolvette l’intera somma del premio proprio alla ex moglie: e anche questo gesto per molti studiosi è considerato un’ulteriore prova del coinvolgimento di lei nelle sue scoperte. Dopo la pubblicazione delle sue teorie, Einstein distrusse tutti i documenti che recavano il doppio cognome. E così distrusse anche la vita di Mileva. Proprio come quella del poinçonneur des Lilas di Serge Gainsbourg.
© 2017 Bollati Boringhieri editore
[CONTINUA IN LIBRERIA]
L’APPUNTAMENTO – Il 7 novembre, giorno in cui in tutto il mondo si ricorderanno i 150 anni dalla nascita di Marie Curie, Gabriella Greison porterà in scena al Teatro Sala Umberto di Roma il nuovo monologo, “Due donne ai raggi X – Marie Curie e Hedy Lamarr, ve le racconto io”.
Fonte: www.illibraio.it