Leonardo ha mostrato di che cosa è capace l’uomo quando sfida le certezze

di Redazione Il Libraio | 15.07.2014

Leonardo da Vinci è stato a tutti gli effetti il primo visionario della storia. In un saggio Stefan Klein si interroga sull'eredità che ci ha lasciato - Leggi un capitolo


Se c’è un personaggio storico che merita di essere definito “genio universale”, nessun dubbio che esso sia Leonardo da Vinci, semplicemente un gigante. Progettò i primi automi funzionanti; immaginò i computer digitali; costruì la prima valvola cardiaca; affrontò i primi studi accurati di anatomia; inventò le prime macchine volanti; rivoluzionò, lui, vegetariano e pacifista, l’ingegneria militare… l’elenco dei campi di applicazione del suo ingegno è vertiginoso.

Noi celebriamo giustamente Leonardo come il pittore che ha rivoluzionato l’arte del Rinascimento, l’autore del Cenacolo e della Gioconda, probabilmente il quadro più famoso del mondo. Ma in realtà i suoi contemporanei lodavano e corteggiavano in lui più l’ingegnere, l’architetto, l’inventore di marchingegni terribili e portentosi, colui che impersonava una nuova era grazie alle sue scoperte meravigliose. Perché Leonardo è stato a tutti gli effetti il primo visionario della storia, ha inventato un nuovo modo di pensare, e, grazie alla sua prodigiosa capacità di osservazione della natura e alle sue folgoranti intuizioni, ha rivoluzionato ogni campo della conoscenza a cui si è applicato.

Ne “L’eredità di Leonardo” (Bollati Boringhieri) Stefan Klein, sulla base delle testimonianze più autorevoli e di una lettura attenta dei suoi scritti, entra con prosa avvincente nei dettagli di questa eredità dimenticata, nel pensiero multiforme e nell’arcipelago biografico del genio universale, mostrandoci con smaltata chiarezza la complessità del suo patrimonio conoscitivo…

Ed ecco un estratto da “L’eredità di Leonardo” di Stefan Klein pubblicato per gentile concessione di Bollati Boringhieri

La sua dedizione fu straordinaria. Egli riuscì a continuare aoccuparsi di un problema per decenni e decenni, anche quando sembrava che non ci fossero prospettive di pervenire a una soluzione. Se, nonostante tutti i suoi sforzi, non trovava la soluzione, addebitava il suo insuccesso all’insufficiente acutezza della propria mente. Una volta paragonò la mente a una pietra focaia. Questa, «essendo battuta dall’acciarolo del foco», se ne lagnò, dicendogli che l’aveva sicuramente scambiata con qualcun altro, giacché, sostenne, «io non dispiacei mai a nessuno».Ma l’acciarino le rispose che, se fosse stata paziente, avrebbe visto «di sé nascere il maraviglioso foco, il quale, colla sua virtù, operava in infinite cose». Da dove veniva quest’«ostinato rigore», come chiamò una volta lo stesso Leonardo la capacità di soffrire per un compito che ci si è autoimposti?

La maggior parte degli artisti e degli scienziati arrivati ai vertici della loro professione ricordarono il ruolo grandissimo che un maestro aveva svolto per loro nella loro giovinezza. Ma la cosa più importante che un maestro possa dare a un allievo non è né l’esperienza né il sapere, bensì l’entusiasmo. Proprio quel che pare che il Verrocchio sia riuscito a dare a Leonardo.

Da dove potrebbe ricevere oggi un tale impulso il giovane Leonardo? Quale maestro gli avrebbe insegnato che vale la pena di sforzarsi anche quando ciò non è richiesto? Nella Firenze del Quattrocento c’era una possibilità di affermarsi anche se non si era integrati a tutti gli effetti nel tessuto sociale. In quanto figlio naturale, Leonardo non era legato alla tradizione della famiglia; al tempo stesso però era spinto da un forte desiderio di affermazione che era rafforzato dall’ambiente. Se il giovane Leonardo fosse nato oggi ai margini della società avrebbe avuto le opportunità e la volontà di ascesa?

Dopo la conclusione degli studi un ragazzo per quanto dotato deve trovare il suo posto in un mondo regolamentato ad alto livello. Professori, superiori e colleghi premierebbero i suoi sforzi per specializzarsi e migliorare sempre di più nel campo di sua competenza, mentre lo punirebbero se lo vedessero dedicare il suo tempo a interessi estranei all’ambito ristretto della sua competenza professionale. Un uomo intelligente come Leonardo imparerebbe presto come si possano risolvere senza fatica problemi percorrendo vie tracciate da altri già da molto tempo.

Ma potrebbe scoprire come ci si possono porre nuovi problemi, formulare domande nuove, e come si possano trovare risposte a queste domande con mezzi non convenzionali?

Con ogni probabilità il giovane imparerebbe un modo di lavoro corrispondente esattamente al contrario dei metodi del Leonardo storico. Oggi noi ci lasciamo guidare dalle nostre conoscenze; Leonardo, anche in età avanzata, era ancora pronto a vedere le cose con l’occhio di un bambino. Noi suddividiamo il nostro sapere in discipline e richiediamo in esse l’uso della logica; Leonardo considerava il mondo un’unità e cercava somiglianze fra i fenomeni più lontani. Noi tentiamo di risolvere i problemi in modo il più possibile sistematico; egli lo fece combinandoli in modo originale. Noi vogliamo risposte; egli poneva domande. Niente però ci impedisce di imparare impostazioni da Leonardo: non in sostituzione del modo di pensare moderno, ma per integrarlo.

Soprattutto, però, Leonardo ha mostrato quanto lontano possa spingersi un uomo che compia ricerche scientifiche senza avere un fine preciso. Trascinato dalla sua curiosità, lavorò solo per il piacere di capire il mondo. Ma proprio in questa mancanza di una precisa intenzionalità si imbatté in un così gran numero di orizzonti quali mai ebbe modo di conoscere alcun uomo, né prima né dopo di lui. Proprio perché non si prefiggeva di arrivare in nessun luogo, fu sempre libero di scegliere non la via più veloce bensì quella più interessante. Questa è la sua vera eredità: Leonardo ha mostrato di che cosa è capace l’uomo quando si libera dagli impacci e dalle apparenti certezze del suo mondo”.

(continua in libreria…)

Fonte: www.illibraio.it