Diritti LGBT e Chiesa cattolica. A che punto siamo?

di Redazione | 28.04.2021

Il rapporto fra Chiesa e omosessualità è un tema sensibile, che viene facilmente distorto dalla stampa scandalistica. Per la prima volta con metodi storiografici ne viene analizzato lo sviluppo durante il Novecento, dal secondo dopoguerra fino all’attualità. Ne Il «vizio innominabile» Francesco Torchiani esamina l’evoluzione dell’atteggiamento tenuto dalla Chiesa cattolica nei confronti dell’omosessualità: da peccato/reato […]


Il rapporto fra Chiesa e omosessualità è un tema sensibile, che viene facilmente distorto dalla stampa scandalistica. Per la prima volta con metodi storiografici ne viene analizzato lo sviluppo durante il Novecento, dal secondo dopoguerra fino all’attualità.

Ne Il «vizio innominabile» Francesco Torchiani esamina l’evoluzione dell’atteggiamento tenuto dalla Chiesa cattolica nei confronti dell’omosessualità: da peccato/reato al tentativo di Bergoglio di aprirsi a una percentuale sempre più cospicua della popolazione che viene progressivamente alla luce grazie a nuovi strumenti di lettura della società.
In questo saggio Torchiani analizza le alterne fasi dei pontificati, fra timide aperture e chiusure improvvise, prendendo in considerazione anche le reazioni e le resistenze all’interno del variegato mondo cattolico, sia italiano che internazionale.
Un percorso originale che mette in luce il dibattito sul fronte difficile e accidentato dei diritti civili della comunità LGBT, così come gli avanzamenti e i passi indietro compiuti.

Riportiamo qui un interessante estratto, che ci ricorda quanta strada abbiamo percorso, e quanta ancora ne rimane da percorrere, per costruire una società più inclusiva.

Il vizio innominabile





© 2021 Bollati Boringhieri editore

«Molti vorrebbero che la Chiesa parlasse solo nei luoghi di culto. Sarebbe come la Chiesa del silenzio dell’URSS». Silvio Berlusconi, già due volte presidente del Consiglio italiano, interveniva così a margine dell’affollatissimo Family Day che il 12 maggio 2007 aveva portato centinaia di migliaia di persone a Roma in piazza San Giovanni. Tutta l’opposizione al governo di centro-sinistra allora guidato da Romano Prodi, assieme a folte rappresentanze di sindacati e associazioni cattoliche, si era riunita per protestare contro il disegno di legge sui Dico (Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi), che prevede «il riconoscimento graduale di alcuni diritti […] e una manciata di norme per marcare la distanza dal matrimonio».

La partecipazione di massa a quella piazza – vi aderì con convinzione un sacerdote da sempre in prima fila nella difesa degli emarginati come don Oreste Benzi – avveniva a pochi giorni dal ritiro del disegno di legge, contestato anche all’interno della stessa maggioranza parlamentare, una frastagliata e rissosa coalizione che andava dal cattolicesimo democratico alla sinistra radicale. L’affossamento di ogni tentativo di regolamentare le unioni omosessuali costituì uno degli indubbi successi della Conferenze episcopale italiana.
«Riteniamo la legalizzazione delle unioni di fatto inaccettabile sul piano di principio, pericolosa sul piano sociale ed educativo», si leggeva nella Nota del Consiglio Episcopale Permanente a riguardo della famiglia fondata sul matrimonio e di iniziative legislative in materia di unioni di fatto, pubblicata nel marzo di quell’anno.

«Quale che sia l’intenzione di chi propone questa scelta, l’effetto sarebbe inevitabilmente deleterio per la famiglia. Si toglierebbe, infatti, al patto matrimoniale la sua unicità, che sola giustifica i diritti che sono propri dei coniugi e che appartengono soltanto a loro. Del resto, la Storia insegna che ogni legge crea mentalità e costume. Un problema ancor più grave sarebbe rappresentato dalla legalizzazione delle unioni di persone dello stesso sesso, perché, in questo caso, si negherebbe la differenza sessuale, che è insuperabile».

La lotta contro il relativismo culturale, colpevole di erodere l’esausta società contemporanea, passava anche dall’opposizione ai Dico. Dopo il riconoscimento dei matrimoni fra persone dello stesso sesso da parte di Belgio e Spagna, dove nel 2005 lo scontro con il governo Zapatero fu aspro e perdente, il rischio che si arrivasse a una soluzione simile anche in Italia, porto a una mobilitazione della Chiesa anche contro quella soluzione omeopatica. Del resto, l’ancora cardinale Ratzinger aveva messo in guardia dal rischio che l’equiparazione tra matrimonio e «unione omosessuale » potesse portare a «conseguenze estremamente gravi », sino alla «dissoluzione dell’immagine dell’uomo ». «La libertà politica », scandiva, «non è né può essere fondata sull’idea relativista che tutte le concezioni sul bene dell’uomo hanno la stessa verità e lo stesso valore ».

Per questo il cristiano:
“è ugualmente chiamato a dissentire da una concezione del pluralismo in chiave di relativismo morale, nociva per la stessa vita democratica, la quale ha bisogno di fondamenti veri e solidi, vale a dire, di principi etici che per la loro natura e per il loro ruolo di fondamento della vita sociale non sono «negoziabili »”.

Anche la «cosiddetta cultura gay» diventava un precipitato del pericoloso relativismo: farsene sostenitori preclude ipso facto la strada del Seminario o dell’ammissione agli Ordini sacri, proprio come il manifestare «tendenze omosessuali profondamente radicate», o la pratica dell’omosessualità. La difesa dei «principi non negoziabili» costituì il principale elemento di continuità tra la linea di condotta del prefetto Joseph Ratzinger e di papa Benedetto XVI. Sull’onda emotiva del passaggio di testimone tra i due papi, la Chiesa italiana, a lungo guidata da Ruini e dal 2007 da Angelo Bagnasco, seppe mettere a frutto il suo ruolo di interlocutrice privilegiata della classe politica, inserendosi nelle contraddizioni di un ceto dirigente sfrangiato, svuotato delle culture politiche tradizionali, remissivo quando non supino davanti all’interventismo vaticano. Sui temi etici – dall’eutanasia all’aborto, passando per la ricerca scientifica sulle cellule staminali e le forme di convivenza al di fuori del matrimonio – essa non manco di far sentire la propria voce. Potremmo affermare, in sintesi, che l’Italia fu tra i paesi che risposero con maggior sollecitudine, o minor resistenza, alla lotta ingaggiata da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI contro il «relativismo culturale» individuato dai due pontefici come principale nemico della civiltà cristiana occidentale.