"Viviamo in una società in cui la genitorialità senza ombre, senza pecche, è un ideale intoccabile sempre spinto al massimo". In occasione dell'uscita de "La notte del bene", su ilLibraio.it l'autrice Sara Fruner ci racconta i protagonisti del suo nuovo romanzo: "Ettore ed Elena si guardano bene dal rivelare il proprio senso di inadeguatezza; fanno dei timidi tentativi, ma sanno che tabù, stigma e silenzio sono alleati di ferro. Per cercare risposte, allora, imboccano ciascuno la propria strada e la tengono nascosta al partner. Loro due, che si erano fortunosamente trovati nella diversità, si perdono"
In questi ultimi anni ho trascorso molto tempo con Ettore Festi ed Elena Reinkopf. Una coppia unita dall’amore e da un passato anomalo: Ettore abbandonato dalla madre subito dopo la nascita; Elena sparita all’età di quattro anni, e dopo tre giorni, ritornata.
Spesso su retroterra traumatici spuntano fratellanze forti quanto il sentimento amoroso. È il caso di questi due giovani, sopravvissuti alle loro infanzie prim’ancora che a un colpo di fulmine.
Ettore Festi ed Elena Reinkopf sono i protagonisti di un romanzo. Il fatto che vivano sulla carta di un libro anziché sotto le tegole di un tetto non li rende testimoni meno attendibili. Da secoli il vero artificio della letteratura rinnova, pagina dopo pagina, il suo prodigio: dar corpo credibile e immortale all’inesistente.
Quindi non ho mai messo in dubbio l’esistenza di Emma Bovary, Achab, Raskòl’nikov e le verità che irradiano, così come non metto mai in dubbio l’esistenza e le verità dei personaggi che incontro nei miei romanzi.
È stata la malcelata imperfezione di Ettore ed Elena ad attrarmi: scostando il capolavoro della loro coppia, ho scorto una trama di crepe correre verso angoli bui. Nulla di più irresistibile per uno scrittore. Entrambi cercano di far funzionare le cose dopo che una gravidanza fuori programma li ha scossi sia individualmente sia come coniugi, facendo sorgere in loro indicibili dubbi: e se, malgrado la maternità, non mi sento una madre? E se, ora che sono diventato padre, non provo amore per mio figlio?
Nessun orecchio è pronto ad ascoltare simili domande nel loro entourage. E il loro entourage riflette il nostro: una società in cui la genitorialità senza ombre, senza pecche, è un ideale intoccabile sempre spinto al massimo. Ettore ed Elena si guardano bene dal rivelare il proprio senso di inadeguatezza; fanno dei timidi tentativi, ma sanno che tabù, stigma e silenzio sono alleati di ferro. Per cercare risposte, allora, imboccano ciascuno la propria strada e la tengono nascosta al partner. Loro due, che si erano fortunosamente trovati nella diversità, si perdono. Impiegheranno tutto il romanzo a ritrovarsi.
Ci sono tanti Ettore e tante Elena là fuori che fanno l’impossibile per tenere insieme i loro rapporti. Lo splendido mosaico che si sentono in dovere di restituire al mondo — coppia perfetta, casa perfetta — è l’ennesima copia di un progetto di vita in cui magari faticano a identificarsi, ma dentro il quale finiscono risucchiati. L’immagine che di noi dobbiamo proiettare per non spiccare anormali è un costrutto artificiale plasmato da forze esterne molto potenti, come le aspettative famigliari, la pressione sociale.
Guardando Elena ed Ettore muoversi nel loro vivere e sentire domestico mi sono trovata davanti a un classico della cinematografia coniugale moderna: un uomo e una donna alle prese con l’ansia di aderire a un modello da loro non intimamente condiviso ma così dominante da costringerli a seguirlo.
Elena scivola nel tranello della conformazione in tenera età. Dopo essere scomparsa e ricomparsa, comincia a nascondersi. Pur di non lasciar trapelare nulla fuori, costruisce nuovi io dentro, infilando strati e strati fra sé e il mondo. Lo fa per proteggere se stessa, ma anche chi le sta accanto, che potrebbe non voler guardare l’originale alterato. Ettore fa lo stesso. Si convince che essere stato abbandonato dalla madre biologica non sia un problema, che l’adozione da parte di due genitori premurosi abbia assicurato un lieto fine alla sua storia.
E questo facciamo noi esseri umani. Fabbrichiamo intorno a noi favole di muri per mostrare agli altri il bello, impedire la vista del buio. Abbiamo l’impressione che ci giovi, oltre a proteggerci. Poter contare su una struttura che riproduce la struttura scelta dai nostri simili funziona meglio del cemento: ci rende uguali e ci tiene in piedi.
Le pareti di casa Festi reggono fino a quando l’arrivo imprevisto del figlio non le mina. Storditi da quello che considerano un colpo basso del caso, ma decisi a non gettare la spugna, accettano di farsi pungolare dall’inossidabile sprone beckettiano “I can’t go on. I’ll go on” — “non riesco ad andare avanti. Vado avanti”.
I due scopriranno ben presto che l’abnegazione non basta. I crolli accadono. Tuttavia qualcosa, come per loro, rimane. Dai cocci può sorgere miracolosamente un’altra storia, nella quale i ruoli famigliari possono intravedersi più fluidi, i rapporti affettivi non uniformati a uno standard da manuale, ma piuttosto, abbozzati a mano libera.
Dai personaggi che vivono sulla carta imparo sempre molto. Da Ettore ed Elena, che a un castello di cartapesta è preferibile un autentico dirocco. Verità, questa, ripresa e approfondita anche da una donna sottile e acuta, che ha il merito di portare il mondo nel romanzo.
Matilde scrive così:
Noi non siamo ciottoli sul fondo dei torrenti. Levigati, preziosi orografici.
Non lo diventiamo nemmeno dopo una vita di correnti.
Siamo porosi, contorti. Scavati da crepe, crivellati da buchi.
Tratteniamo tutto. A volte rilasciamo.
Siamo blocchi di pomice.
Quando va bene, barriere coralline.
IL LIBRO E L’AUTRICE – “Una maga della parola”: è così che André Aciman ha definito Sara Fruner, scrittrice di prosa e poetessa, oltre a essere docente d’italiano presso la New York University e il Fashion Institute of Technology. Dopo aver pubblicato L’istante largo (Bollati Boringhieri), un romanzo magico e giocoso che richiamava le atmosfere di Cent’anni di solitudine di Márquez, l’autrice torna in libreria con La notte del bene (sempre Bollati Boringhieri), una storia che racconta il naufragare di un progetto famigliare convenzionale, ma lasciando intravedere il profilarsi luminoso di un nuovo sistema di valori affettivo.
E veniamo quindi alla trama del romanzo che inizia quando, un giorno, in treno, scocca il colpo di fulmine fra Ettore ed Elena. Un passato anomalo li unisce: Ettore abbandonato in fasce dalla madre, e adottato all’età di cinque anni; Elena bambina sparita nel nulla per tre giorni, e poi ritornata. Due anime perdute che si trovano. Ma se il caso può incastrare tutto alla perfezione, può anche, in un soffio, scatenare il caos: un figlio fuoriprogramma che sconvolge gli equilibri di singoli e coppia, lo smarrimento identitario per Elena, e guai sul lavoro per Ettore, trascinato in un intrigo che mette a repentaglio la sua integrità etica. In ufficio gli è accanto Matilde, vedova di mezza età con un passato ingombrante e un amore impossibile sospeso fra Stati Uniti e Caraibi.
E se un padre non amasse il proprio figlio? E se una donna diventata madre, si perdesse completamente nel passaggio da donna a mamma?
La notte del bene ruota attorno a queste domande, esplorando l’abisso che può spalancarsi tra un uomo e una donna posti davanti a una genitorialità imprevista. Attorno a quest’universo di coppia, un mare di storie da ogni dove, fra passato, presente, architettura, schiavitù, razzismo e verità nascoste.
Fonte: www.illibraio.it