Il discorso sul sacro permea la società umana e tocca tutti, che si sia credenti o meno. Ma la fede sarebbe migliore o peggiore se distorcesse e censurasse la ricerca storica e scientifica a proprio vantaggio? Su ilLibraio.it la riflessione del direttore editoriale di Bollati Boringhieri, casa editrice che, con alcune recenti pubblicazioni, sta dando voce a una "terza via, laica e pluralista, che si inserisce nel mezzo tra la letteratura apologetica da un lato e la pamphlettistica atea dall'altro"
I mottetti di Johann Sebastian Bach, scritti negli anni Venti del Settecento, sono un capolavoro della musica sacra. Uno di questi, il BWV 227, Jesu, meine Freude (Gesù, mia gioia), mi ha sempre ispirato un enorme rispetto per la fede degli uomini in Dio.
Composto per corale a cinque voci, il mottetto si sviluppa nella raccolta tonalità prevalente di mi minore e si fonda sui testi alternati dell’Epistola ai Romani di Paolo e di un inno scritto quasi cent’anni prima da Johann Franck, membro del Land della Lusatia, luogo dal quale, all’epoca, i miei lontani antenati ebrei erano da poco stati scacciati, portando con sé come unico ricordo di quelle terre il toponimo, ancora palese nel mio cognome.
La musica di quella corale mi fa rabbrividire ogni volta. Forse che Dio stesso teneva la mano di Bach mentre questi attingeva al calamo per tracciare le note sul pentagramma? Non lo posso escludere, tanto profonda è la commozione che suscita. Mi posso immaginare generazioni di devoti luterani toccati nell’anima da quelle voci ascoltate durante la messa, e posso anche immaginare quanto bene alcuni di loro possano aver fatto una volta usciti dalla chiesa, ispirati da quella musica: elemosine ai poveri, aiuto ai bisognosi, gesti di pace.
Allora sorge la domanda: l’analisi critica dei testi biblici dell’Antico e del Nuovo Testamento “rovina” tutto questo? Mettere a nudo le incongruenze della parola sacra che ci è stata tramandata dalla tradizione, inserire quei libri nel loro contesto storico, rivelarne le contraddizioni e la loro natura fin troppo umana con le metodologie moderne dell’indagine storica, affievolisce la fede degli uomini?
Da poco in Bollati Boringhieri abbiamo pubblicato un volume dello storico spagnolo Fernando Bermejo-Rubio dal titolo L’invenzione di Gesù di Nazareth. Storia e finzione. Le 700 pagine del libro, minuziosamente annotate, si sforzano di dare degli strumenti per analizzare la vita del Gesù storico en historien, come si dice, cioè a prescindere dal dato di fede, in maniera scientifica. Viene così tratteggiata, a partire dall’analisi critica dei testi, la vita di un ebreo carico di forti pretese nazionaliste regio-messianiche e ostile all’occupazione imperiale romana, che fu con ogni probabilità violenta e odiosa.
Un uomo con un progetto politico, quindi, peraltro non il solo nella Palestina dell’epoca. L’autore, tra le altre cose, denuncia le debolezze di certa ricerca storica, che nel caso di Gesù spesso viene meno ai doveri di imparzialità e risulta informata, più o meno palesemente, più o meno consapevolmente, da preconcetti di fede per via dei quali certi passi un po’ ambigui della letteratura sacra vengono edulcorati, omessi o reinterpretati in modo che non possano dare adito a crepe nella concezione di Gesù inteso come figlio di Dio.
Ci sono state critiche. Peraltro non è la prima volta che in casa editrice abbiamo deciso di pubblicare testi di analisi biblica. Nel 2015, ad esempio, abbiamo pubblicato E il Signore parlò a Mosè. Come la Bibbia divenne sacra, di Michael L. Satlow. Anche quel testo è informato dalla volontà di analizzare i testi sacri en historien, e ne conclude che la Bibbia sarebbe la collazione di testi diversi, tratti da tradizioni e tempi differenti, cuciti insieme in un tutt’uno, a scopo normativo-religioso, piuttosto tardi, nel II secolo a.e.v. Dunque la Bibbia non sarebbe la dettatura di un testo perfetto fatta a Mosè da Dio sul Monte Sinai, come vorrebbe la tradizione. In quel caso, però, i commenti erano stati piuttosto lusinghieri e le critiche poche. Ma certo, si trattava dell’Antico Testamento, un testo sacro anche ai cristiani ma vissuto da loro in maniera decisamente meno partecipata rispetto ai Vangeli.
Sia la tesi del Gesù storico descritto come un ebreo inserito nella cultura del suo tempo che quella della Bibbia vista come collazione di testi redatti in tempi differenti non sono peraltro nuove. Bermejo-Rubio e Satlow non sono (ciascuno nel suo contesto) dei rivoluzionari che avanzano tesi inaudite, mai prima sospettate. Piuttosto, sono due autori seri e preparati che si iscrivono nel solco di due tradizioni di studi ben attestate da secoli, nate con la modernità, alle quali aggiungono del proprio. È proprio della modernità, infatti, pensare che il mondo si possa reggere in piedi da sé a prescindere dalla divinità. Non negandola: a prescinderne. È diverso.
Che l’Antico Testamento sia un testo concepito dalla divinità così com’è, e dettato a un capopopolo in carne e ossa, pare oggi poco probabile. Ma che quel testo, una volta cristallizzato nella tradizione, abbia ispirato generazioni di esseri umani inducendoli a fare del bene (e talvolta del male, ma non è ciò di cui stiamo parlando) è un dato di fatto. Allo stesso modo, che sia esistito un uomo di nome Gesù nella Palestina del I secolo è praticamente certo. Che quell’uomo abbia fatto esattamente tutto quello che c’è scritto nei Vangeli pare decisamente poco probabile. Ma che sia nata una comunità di persone che a partire da quanto si è cristallizzato nella redazione dei Vangeli ha tratto insegnamenti che hanno successivamente ispirato generazioni di esseri umani inducendoli a fare del bene (e talvolta del male, ma non è ciò di cui stiamo parlando) è di nuovo un dato di fatto.
E allora di Bach che ne facciamo? Non era dunque ispirato da Dio il suo Jesu, meine Freude? Non lo so e non lo posso sapere, ma davvero è così importante? Se Bach, mentre componeva, pensava all’amore del Cristo della fede, farebbe differenza se si venisse a sapere che il Gesù storico era uomo del suo tempo?
E soprattutto: la fede sarebbe migliore o peggiore se distorcesse e censurasse la ricerca storica e scientifica a proprio vantaggio?
Dio stesso è stato l’oggetto di un libro da noi pubblicato di recente (Stefano Levi Della Torre, Dio). Persino di Lui, nel mondo moderno, si può parlare a prescindere dalla fede, perché il discorso sul sacro permea la società umana e tocca tutti, che si sia credenti o meno.
Con una serie di libri, in Bollati Boringhieri stiamo ormai da qualche tempo dando voce a questa terza via, laica e pluralista, che si inserisce nel mezzo tra la letteratura apologetica da un lato e la pamphlettistica atea dall’altro. Con animo aperto all’indagine e all’analisi critica (ma sempre rispettosa delle credenze di chiunque), abbiamo voluto in passato e continueremo in futuro a proporre la nostra voce secolarizzata, convinti che il discorso sul sacro, su Dio, sulla Bibbia o su Gesù sia interessante in sé, non debba restare confinato all’ambito confessionale, ma possa essere raccolto come sfida culturale.
L’AUTORE – Michele Luzzatto è il direttore editoriale della casa editrice Bollati Boringhieri.
Fonte: www.illibraio.it