A Iowa City orbita tutta una serie di creativi, tra cui poeti e ballerini (e non solo le aspiranti autrici e gli aspiranti autori che frequentano il noto Iowa Writers' Workshop). Sono loro "Gli ultimi americani" del romanzo di Brandon Taylor: tanti racconti che compongono un'opera unica, dove ogni protagonista diventa comparsa nelle vite altrui. Le loro storie si intrecciano e si sovrappongono, in uno spazio dove la coesistenza è esasperata dalla routine, dalle difficoltà quotidiane...
Per una determinata bolla di persone, Iowa ha un significato particolare. A un certo punto, tutte le cosiddette menti letterarie più brillanti della letteratura statunitense sono passate per Iowa City, dove è nato nel 1936 il primo corso universitario di scrittura creativa del paese, lo Iowa Writers’ Workshop.
Basta guardare il corpo docenti: ci sono parecchi Pulitzer. Marilynne Robinson, Andrew Sean Greer. Hannah Horvath, protagonista della serie Girls, desidera diventare la voce letteraria della sua generazione: chiaramente, in una delle stagioni si iscrive al workshop.
Intorno agli scrittori però a Iowa City orbitano tutta una serie di altri creativi, tra cui poeti e ballerini. Sono loro Gli ultimi americani del romanzo di Brandon Taylor, pubblicato da Bollati Boringhieri nella traduzione di Francesca Manfredi.
Seamus, Noah, Ivan, Fatima, per un momento Bea: sono alcuni dei personaggi che capitolo dopo capitolo affrontano il loro piccolo momento di svolta, se svolta si può dire il cercare di rimanere a galla, potendosi permettere tanti infinitesimali momenti lucidi, che in fondo equivalgono a esistere nella realtà.
Sono tanti racconti che compongono un’opera unica, dove ogni protagonista diventa comparsa nelle vite altrui: le loro storie si intrecciano e si sovrappongono, in uno spazio dove la coesistenza è esasperata dalla routine, dalle difficoltà quotidiane. I personaggi di Taylor sono ricchi e sono proletari: non vogliono parlare di soldi, oppure ci devono pensare costantemente, come a un elemento concreto che cambia il corso delle loro giornate. Alcuni sono neri, altri sono neri cresciuti in una famiglia di bianchi. Alcuni sono uomini gay, alcune sono donne che ogni giorno affrontano forme di micro e macroviolenza.
C’è chi intreccia una relazione con il proprio insegnante di danza, chi gira contenuti per un sito che assomiglia molto a OnlyFans, c’è chi abortisce e sente pure di dover rendere conto a chi non ha nessun diritto sul suo corpo. I personaggi si perdonano, si amano per pochi minuti, condividono saliva, sperma, carezze fugaci ma anche sputi e spintoni.
Quello che Taylor mostra è uno spaccato, come quei diorama che vengono assegnati per compito nelle scuole statunitensi, come le statue dietro le vetrine al museo di storia naturale di New York: è la generazione che è esistita a stento, che cerca di navigare tra nuove consapevolezze e concetti rivoluzionari che perdono vigore quando vengono banalizzati dalla vuota applicazione. Ragazzi che si affiancano per un breve periodo, per caso, e hanno un impatto a vicenda sulle proprie vite, ma per tutti i sogni che hanno possono solo trovare brevi felicità nel presente. I ragazzi di Taylor sono quelli arrivati alla fine della festa, e raccattano i fondi dei bicchieri, le cartacce sparpagliate.
Le vite che Taylor tratteggia hanno conosciuto dolori indicibili, o la fatica della sopravvivenza quotidiana; altre si barcamenano in relazioni stanche, ma nei legami sentimentali o solo sessuali si trova quel poco di senso, in una città dagli inverni ghiacciati e dalle estati stantie, dove tutti sono di passaggio prima di sparpagliarsi in altre direzioni.
Iowa City è il centro di queste persone, la meta ideale di chi ha aspirazioni creative, che negli Stati Uniti equivalgono a una forma ancora più rispettabile di sogno americano: diventare ricchi e famosi attraverso l’arte. Eppure, di questa città che dovrebbe essere vibrante di ispirazione, quello che viene restituito è il clima inospitale, i pub frequentati dai gruppi di studenti rigidamente divisi, gli appartamenti in affitto e i pick up al bordo della strada. C’è qualcosa di molto più concreto del sogno americano, ed è la fatica quotidiana.
L’ambiente accademico, nonostante un dichiarato distacco dalla realtà, non può prescindere da classe, etnia, sessualità. Nemmeno all’università dell’Iowa. Taylor, come i grandi scrittori statunitensi, l’ha conosciuta bene.
Fonte: www.illibraio.it