Michele Cecchini torna con “Il cielo per ultimo”, un romanzo che racconta di Emilio Cacini, un insegnate d’arte che ha la passione per le immagini, di suo figlio Pitore, che ha un ritardo nello sviluppo del linguaggio e che parla con una lingua tutta sua, e del loro rapporto… - Su ilLibraio.it un estratto
Emilio Cacini, il protagonista de Il cielo per ultimo, nuovo romanzo di Michele Cecchini (pubblicato da Bollati Boringhieri), insegna educazione artistica alle scuole medie. Soprannominato Soldo di cacio, per la statura non proprio da gigante e per la sua tendenza a essere piuttosto goffo, da sempre coltiva la passione per le immagini, tanto che spesso associa ciò che vive nella realtà, ai dipinti dei suoi pittori preferiti.
Cacio ha un figlio, Pitore, un bambino che soffre di una carenza nel normale sviluppo delle funzioni del linguaggio. In pratica, Pitore parla una lingua tutta sua, fatta di parole nuove.
Cacio sembra non farne un dramma, e anzi si impegna a trovare forme di comunicazione alternative alle parole, nel tentativo di stringere un legame sempre più forte con un figlio che alleva da solo.
Cecchini (nella foto di Paolo Boni, ndr), autore nato a Lucca nel ’72 e che attualmente insegna e vive a Livorno, dopo aver pubblicato per le edizioni Erasmo, Dall’aprile a shantih e Per il bene che ti voglio, torna con un romanzo delicato e colorato come un acquerello. Una nuova rappresentazione della paternità.
Per gentile concessione dell’editore, ilLibraio.it pubblica un estratto del romanzo:
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Ilaria è il mio segreto e per parlare di Ilaria bisogna prima parlare di Clementina e spostarsi da Ardenza Mare a Roma.
Clementina infatti abita in un appartamentino sulla Nomentana. Ogni giorno percorre parecchi chilometri per andare e tornare dal lavoro. Io, per tanto tempo, la sua vita me la sono immaginata così, come una sequenza di bus, di treni, di stazioni, di coincidenze e di caseggiati osservati da lontano, attraverso un vetro.
Clementina torna a casa con un treno da Frascati. Arriva alla stazione con un po’ di anticipo, per cui rimane seduta su una panchina fissando i sassi color ruggine del binario 6. Il din din di un campanellino e la voce degli altoparlanti dicono che il treno è in arrivo. Nel giro di un paio di minuti il treno sputa fuori delle persone e ne ingurgita altre. Clementina sale, entra in uno scompartimento e siede come sempre nella direzione di marcia. Qualcun altro entra dopo di lei urtando e sbuffando. Clementina però non scosta lo sguardo dal libro che ha estratto dalla borsa. Lo tiene aperto sulle ginocchia e se ne sta curva sulle pagine. La copertina ha un titolo colorato di rosa e c’è la foto di un tramonto.
Sembra totalmente assorta nella lettura Clementina, ma non lo è. Perché quando il controllore fa scorrere l’anta dello scompartimento rivolgendo un generico «Biglietti, prego», lei si fa trovare pronta. Ha in mano il portamonete e lo divarica di fronte al controllore. Il quale si avvicina, strizza gli occhi e punta l’indice sul cartoncino dell’abbonamento. E non può non notare lì, accanto a quel cartoncino, in bella vista sul portafogli, l’immaginina di san Guglielmo. Pensa allora alle coincidenze, il controllore, e si chiede se quella ragazza sia di Scicli anche lei. Gli torna a mente la processione che ha visto un’infinità di volte sfilare lungo le strade del paese. E chissà se quella ragazza è una delle bambine che tanti anni fa correvano per la piazza con la granita in mano. Ma manca poco a Termini e il controllore se la tiene, la curiosità.
Clementina interrompe la lettura e si guarda attorno: una signora si è appisolata stringendo a sé la borsa, un ragazzo con le cuffie guarda fuori dal finestrino, una donna tiene sulle gambe una bambina che sfoglia un libro, un anziano con il borsello a tracolla chiede per la terza volta quanto manca a Termini. In prossimità di Capannelle, Clementina si prepara. Ripone il libro nella borsetta, si alza in piedi, si sistema il tailleur e la collana, si abbottona il soprabito. Lascia scorrere i manici della borsetta fino al gomito e chiude la zip. Porta il dorso della mano alla nuca, sotto i capelli, e dà un colpetto rapido. Esce dallo scompartimento e si piazza di fronte alla porta, dal lato giusto. Anche se prende quel treno di rado, sa che a Termini fermerà al binario 12.
Sono dettagli che Clementina ritiene fondamentali. Guai se il treno non fermasse al binario 12. Per la verità, le due volte che è stato dirottato sul binario 6, mica è successo niente.
Ora percorre elegante e precisa il piazzale della stazione, facendo risuonare i tacchi. Non guarda nessuno e detesta essere guardata. Tira dritto fino alla pensilina dei bus.
Il 90, lì, pare aspetti proprio lei. Sale e si appoggia a un tubo di metallo. Rinuncia a leggere, stavolta. Con uno specchietto controlla il mascara e il contorno occhi. È pronta alla discesa, anche se mancano ancora venti minuti.
Dal vetro osserva quel frammento di città e le pare bellissimo. La luce si aggrappa ancora con forza alle pareti dei palazzi storici, nelle strade c’è una frenesia che ti piomba addosso come una scarica elettrica. I turisti lungo via del Tritone sono uno sciame che segue un ombrellino, le automobili strombazzano impazienti di rientrare a casa.
Più avanti, sul 336 verso Fidene, i centri commerciali sparano le loro luci al neon e oscurano i palazzoni retrostanti. Ora il bus è fermo a un semaforo. Clementina si inarca per vedere meglio dal vetro. Le finestre che punteggiano le facciate degli edifici mandano una luce azzurrognola intermittente. È la tv.
Dentro il bus, vicino a Clementina, una donna piuttosto grassa si è abbandonata sul sedile. I sacchetti della spesa formano una specie di corona attorno ai suoi piedoni gonfi. Il 336 è così: raccoglie un’umanità sopravvissuta anche a quel giorno, e adesso la coccola con il suo dondolio e i suoi strattoni.
Clementina poi attraversa a piedi Montesacro per prendere la metropolitana. Alla terza fermata scende e dalla Salaria percorre sul 69 tutta via del Foro Italico fino a Prati. Fa freddo a piazzale Clodio e gli orecchini lunghi le pungono sul collo. Il rintocco dei tacchi sull’asfalto arriva fino all’altra parte, sulla pensilina opposta, dove dei ragazzotti con gli scarponi sudici di calcina aspettano il 31. Ora i bus mettono in moto: il 23 in una direzione e il 31 in quella opposta d’un tratto cancellano quell’incontro che non significava nulla e che sarebbe stato subito dimenticato. Clementina allora torna a immergersi in quelle pagine di amori contrastati, conflitti familiari, vendette, gelosie, fughe, passioni travolgenti. Scende dopo una decina di minuti, con il libro in mano e l’indice che tiene il segno.
Raggiunge il piazzale della stazione di Trastevere da dove prende l’8 fino a Piazza Venezia e da lì il 60 che finalmente la deposita a casa, sulla Nomentana. Per la verità, occorre l’ultimo sforzo dei tre isolati a piedi: undici minuti esatti, poi potrà finalmente chiudersi alle spalle tutto e tutti, anche se lì da sola in quell’appartamentino non è che si senta così al sicuro.
Invece ieri Clementina era arrivata con il 360 fino alla stazione di San Giovanni, da lì a piedi fino a Termini dove aveva preso il treno per Centocelle, poi il bus fino a Ponte Mammolo e infine a casa con il 341.
Domani raggiungerà in treno Boccea, da lì in bus fino a Tiburtina dove prenderà il treno in direzione Guidonia, a Tivoli il bus fino al Verano e poi il 542. Da qui, a piedi fino alla Nomentana.
Ogni giorno, Clementina esce dal lavoro alle 17:30 e rincasa intorno alle 20. Mai dopo le 21. Due ore e mezzo per coprire gli appena quattro chilometri che separano l’ufficio dall’appartamento dove vive.
Questo perché Clementina è una militante delle Brigate Rosse e questo impone il protocollo, per evitare i pedinamenti degli agenti in borghese dello Stato Imperialista delle Multinazionali.
Clementina non è il suo vero nome.
«Militante delle Brigate Rosse»: così si è limitata a dire di sé quando l’hanno arrestata. E, secondo la formula consueta, si è dichiarata prigioniera politica.
(continua in libreria…)
Fonte: www.illibraio.it