Dopo la tragedia di Steccato di Cutro hanno fatto discutere le dichiarazioni (poi rettificate) del ministro degli Interni Matteo Piantedosi. Una riflessione che parte dalle parole di Ece Temelkuran, in cui si sottolineano i limiti dell'attivismo digitale, soprattutto dopo anni di populismo alimentato dai social: "È probabile che fino a dieci anni fa questo tipo di dichiarazioni avrebbe suscitato reazioni emotive da parte della quasi totalità dell’opinione pubblica. Ora invece l’emotività è frazionata, e in alcuni casi annichilita del tutto, anche in virtù del lavoro che è stato fatto negli anni passati..."
Vai avanti tu che mi viene da ridere
Nel 2019 la giornalista turca Ece Temelkuran scrisse un breve e fulminante libro, Come sfasciare un paese in sette mosse (Bollati Boringhieri). Analizzava, come recita il sottotitolo, il possibile passaggio dal populismo alla dittatura e come questo ricalcasse in tutti i paesi coinvolti lo stesso schema.
Tra i passaggi più significativi un capitolo in particolare può spiegare bene ciò che stiamo vivendo in queste ore, dopo la tragedia di Steccato di Cutro.
Il capitolo si intitola: «Lascia che ridano dell’orrore».
Temelkuran parte dal movimento di protesta di Gezi Park (2013) contro la politica di Erdoğan e ricorda come lo spirito di gioia e fratellanza di quei giorni sia poi a poco a poco maturato in una ironia utile agli oppositori per riconoscersi, stringersi in un abbraccio di intelligenza collettiva in cui ci si illude di resistere alla marea di illogica cattiveria che piano piano inesorabilmente accerchia.
«La risata collettiva crea l’illusione di opporsi con fermezza all’umiliazione inflitta dall’oppressore, e offre un rassicurante autoinganno, una stanza antipanico in cui ritirarsi per preparare la battaglia molto seria che abbiamo di fronte. Accumulare delle battute critiche come se si trattasse di munizioni ci aiuta a gestire le nostre ansie sul futuro. E per questo motivo che, in tempi di crisi, quando si cerca di essere più calmi di quanto realmente si sia, il bisogno di ridere emerge prima dell’umorismo politico, e non il contrario.»
Temelkuran rileva come questo atteggiamento sia comune in altri movimenti di protesta, ad altre latitudini.
Possiamo ritrovarlo nel 2011 al Cairo, tra i giovani della rivoluzione del Nilo contro Hosni Mubarak ma anche tra gli oppositori del presidente Trump, all’alba della sua elezione, quando si riferirono a lui come “il primo Presidente arancione degli Stati Uniti d’America”. Questo prima che iniziasse la sua politica di inasprimento di controllo dei flussi migratori al confine con il Messico, decisione che peraltro comprese l’allontanamento di migliaia di minori dai propri genitori, successivamente detenuti in condizioni di igiene precaria e malnutrizione in centri di “stazionamento temporaneo” gestiti dalla polizia di confine.
Lo stesso accadde anche in Italia, e in special modo dopo Genova nel 2001, quando i ragazzi esprimevano il proprio dissenso in giro per l’Europa indossando la maglietta “Non ho votato Berlusconi”, declinata in lingue diverse.
A un certo punto, però, questo atteggiamento umano, molto umano di reazione all’orrore, che negli anni ’70 i giovani avevano sintetizzato nello slogan “Una risata vi seppellirà”, cessa di generare frutti.
Osserva sempre Temelkuran: «Quando non c’è più niente su cui scherzare, l’automatismo della risata permane come un orfano errabondo, che ripete pateticamente i suoi ricordi dei giorni idilliaci quando le voci dell’opposizione credevano ancora in un domani, un domani in cui si sarebbe fatto sul serio. Oppure, al contrario, la risata è esausta e anche le battute più intelligenti generano a stento un sorriso avvilito. Questo è l’ultimo stadio prima che il sarcasmo si tramuti in fatalismo e avveleni la mente umana».
Vi chiederete ora cosa c’entri tutto questo con la questione di Steccato di Cutro. Proviamo ad analizzare la vicenda partendo da un po’ di tempo fa.
Siamo nel 2018, Matteo Salvini è l’uomo politico del momento, i sondaggi proclamano la Lega primo partito. Dietro questo successo il suo spin doctor digital, Luca Morisi. L’uomo che ha inventato e finalizzato “La Bestia” nel 2016. “La Bestia”, apparato di comunicazione digital di partito, si muove con sicurezza tra gli account social e analizza con rapidità i trend di migliore performance. Così un post sul pericolo che il migrante affamato di lavoro costituisce per l’italiano disoccupato, non importa se suffragato dai fatti, se viene condiviso migliaia di volte, costituisce la base per la comunicazione politica e omnicanale successiva.
Nello stesso modo si è mosso Trump. Questo metodo, coadiuvato dalla newsletter per i fan attivi ma meno social in cui venivano riproposti gli stessi contenuti in formato video, ha fruttato alla Lega nel dicembre del 2018 un 31,8% di preferenze nei sondaggi.
Un sistema a suo modo brillante, che si basava sostanzialmente sulla conferma di bias e pregiudizi pregressi ma esplicitati a volte con vergogna, perché in qualche modo si temeva la reprimenda sociale, e sull’analisi del sentiment, ma anche sulla costruzione di questo sentiment.
Ribaltando un paradigma fino ad allora valido, si è assistito sostanzialmente a una nuova pratica: non l’elezione di rappresentanti in linea con le esigenze della maggioranza dell’elettorato, ma la costruzione dell’elettore ideale per un certo tipo di rappresentanza.
Sono seguiti poi i respingimenti e lo stazionamento di centinaia di migranti sulle navi delle ONG, il contenzioso con Carola Rackete, e la certezza di avere una fan base di solidi sostenitori praticamente in ogni circostanza.
Per questo il Ministro Piantedosi ha potuto dire ciò che ha detto, ribaltando ancora una volta un paradigma: non si viaggia affrontando il rischio della morte, per sé e per i propri figli, anche se la situazione in cui si permane significa morte certa (dopo le polemiche suscitate dalle dichiarazioni, è poi arrivata la precisazione del ministro, ndr).
È probabile che fino a dieci anni fa questo tipo di dichiarazioni avrebbe suscitato reazioni emotive da parte della quasi totalità dell’opinione pubblica, ora invece l’emotività è frazionata e in alcuni casi annichilita del tutto, anche in virtù del lavoro che è stato fatto negli anni passati, principalmente sui social.
Come ha risposto, però, la parte opposta a questa progressiva perdita di empatia? Ha esercitato negli anni quel tipo di ironia di cui parla Temelkuran e che ora ha portato a una sorta di fatalismo sulla possibilità che la situazione migliori? La risposta è sì.
Mesi di opposizione a colpi di meme che mostravano il Ministro Salvini e le sue passioni culinarie, Salvini abbracciato al culatello, Salvini al Papeete.
Poi è successa una cosa: Vincenzo Luciano, pescatore di Cutro, per tre giorni si è buttato in acqua riportando i cadaveri a riva legati a una cinta. Per evitare che la risacca se li riprendesse e nella speranza di trovare ancora qualcuno vivo. Forse qualcuno ha chiesto a Luciano perché l’ha fatto, ma sarebbe difficile da spiegare, quasi come risalire al significato delle inumazioni per l’Homo Sapiens.
È possibile che Vincenzo Luciano non abbia i social, e forse non sa cosa sia l’attivismo digitale, o forse sì ma non gli interessa più di tanto, perché lui ci mette il suo corpo.
Difficile far capire a Vincenzo Luciano che è irresponsabile mettere i propri figli su una bagnarola per scappare da fame e guerre quando c’è mare mosso.
In definitiva, dice Temelkuran, che forse per l’opposizione è arrivato il momento di abbandonare il sarcasmo e vestire il lutto stretto. E di metterci i corpi.
L’APPUNTAMENTO – Ece Temelkuran sarà ospite in Italia di Biennale Democrazia il 22 marzo, alle ore 17.30, al Teatro Carignano di Torino, per un incontro con Francesca Mannocchi dal titolo Come nasce una dittatura.
Fonte: www.illibraio.it