L’assenza degli scienziati dal Parlamento e il ruolo della cultura scientifica per il benessere delle società

di Michele Luzzatto | 25.10.2022

Dei 400 deputati neoeletti lo scorso 25 settembre alla Camera, poco più di un decimo (53) sono in possesso di un diploma post-laurea. E solo 5 sono laureati nelle discipline STEM (Science-Technology-Engineering-Mathematics). Dati che fanno riflettere, e che hanno diverse cause. L'apporto della cultura scientifica al benessere delle società, d'altra parte, è evidente, e ci guadagneremmo tutti ad approfittarne un po' di più anche in altri contesti. La riflessione (a tratti amara) di Michele Luzzatto, in occasione della pubblicazione del saggio "Le gioie della scienza" di Jim Al-Khalili


Dei 400 deputati neoeletti lo scorso settembre alla Camera, poco più di un decimo (53, stando alle schede parlamentari disponibili sul sito istituzionale) sono in possesso di un diploma post-laurea. Tenuto conto che in Italia i laureati sono circa il 20% della popolazione (un dato molto basso, purtroppo, rispetto agli altri paesi industrializzati), la presenza di persone che hanno conseguito una qualche specializzazione tra i nostri deputati appare tutto sommato congrua, dato il contesto.

Ma in cosa sono specializzati questi nostri rappresentanti? In massima parte in Giurisprudenza; poi c’è una buona rappresentanza di Economia, di Scienze politiche e infine si trova qualche letterato. E scienziati? Quanti deputati siedono sugli scranni della Camera portando con sé esperienze di studio di livello superiore nelle discipline STEM (Science-Technology-Engineering-Mathematics)? La risposta è 5. Cinque su quattrocento: due farmacologi, un agronomo, un ingegnere e una matematica.

Sarebbe stato meglio per il paese averne qualcuno in più. Non dico questo perché senza scienziati in Parlamento mancherebbero le competenze; il problema è più generale. È ovvio che di fronte a questioni che coinvolgono argomenti tecnico-scientifici il Parlamento farà naturalmente ricorso all’ausilio di esperti provenienti dalla società civile; istituirà commissioni composte da persone preparate, scelte tra i migliori scienziati del paese, si farà raccontare i risultati delle loro indagini e poi, tenuto conto dei risultati, provvederà a legiferare di conseguenza. E in Italia non mancano certo gli scienziati in grado di svolgere analisi opportune su qualsiasi argomento sia necessario affrontare. È del tutto ovvio che questo deve essere il modo di operare e che non servono necessariamente esperti specifici per qualsiasi disciplina direttamente tra i deputati, altrimenti la Camera diventerebbe una sorta di “governo dei tecnici” e non è così che funziona la democrazia.

Eppure quel dato, quel 5/400, delude ugualmente. Delude perché chi si forma su materie scientifiche acquisisce una attitudine peculiare a pensare “in modo scientifico”, che porta a vedere il mondo – tutto il mondo, ogni questione – sotto una luce differente. Non è bene che questa ricchezza sia così poco rappresentata nelle istituzioni del paese e che il pensiero scientifico profondo, non solo quello squisitamente tecnico, sia così poco presente tra i banchi di chi è chiamato a trasformare in leggi le istanze della società.

La causa di una così evidente scarsità di scienza nelle aule del potere ha molte origini. C’è la spesso citata distanza formativa tra le “due culture” (scientifica e umanistica), che in Italia è una piaga antica; c’è una responsabilità degli stessi scienziati, che troppo spesso si chiudono nel loro mondo e più raramente di altre categorie sono disposti a impegnarsi pubblicamente per il bene della società, magari facendo politica, appunto; c’è un’idea diffusa secondo cui la scienza non è altro che un insieme di saperi tecnici, mentre la cultura, quella vera, albergherebbe altrove.

Quali che siano i motivi, in definitiva il risultato è penalizzante per tutti, perché se nelle aule parlamentari ci fossero più persone in grado di interpretare “con animo scientifico” ciò che accade nel paese e nel mondo, il dibattito non potrebbe che risultarne più ricco e variegato, in ultima istanza migliore. L’apporto della cultura scientifica al benessere delle società d’altra parte è evidente, e ci guadagneremmo tutti ad approfittarne un po’ di più anche in altri contesti.

Proprio a questo tema si dedica Jim Al-Khalili nel suo ultimo libro, Le gioie della scienza: il suo scopo è convincere chiunque ad agire più “scientificamente” per vivere… be’, meglio. In otto lezioni, scritte in stile colloquiale e prive di qualsiasi tecnicismo, il fisico britannico – membro della Royal Society e acclamato autore de La fisica del diavolo – esce dal laboratorio e entra nel mondo, suggerendo alcune semplici regole che aiutino a ragionare in termini più scientifici nella quotidianità.

Vale la pena ascoltarlo, perché si impara molto; la scienza non è certo l’unica risposta a ogni problema dell’umanità, ma è anche vero che senza la scienza i problemi dell’umanità sarà molto più difficile risolverli.

*L’autore è direttore editoriale di Bollati Boringhieri

 

Fonte: www.illibraio.it