I geni in testa e il feto in grembo
Sguardo storico sul corpo delle donne
Aberrazione, orripilanza: Barbara Duden non indulge a eufemismi per qualificare il rivolgimento che alla fine del Novecento ha investito il vissuto corporeo, e che ha nel corpo delle donne un «avamposto privilegiato». Ciascuno degli interventi qui raccolti è percorso da un identico sconcerto di fronte all’odierno processo di spossessamento, che ha prodotto una decorporeizzazione sconosciuta prima dell’ecografia e della diagnosi prenatale, dei test genetici e dei protocolli di prevenzione del cancro. La distanza dall’esperienza che del proprio corpo le donne hanno avuto sino a ieri non potrebbe essere maggiore, e senza le riflessioni di una storica atipica, addestrata a guardare funambolicamente all’oggi con gli occhi del passato, non riusciremmo a misurare davvero un tale abisso. È lei a indicarcene la profondità, non riservando alcuna indulgenza ai compiacimenti decostruttivi del postmoderno al femminile, e condividendo invece con Ivan Illich, suo compagno di vita e di pensiero, il presupposto secondo il quale tecnologie e linguaggio sono molto meno innocenti di quanto appaia dalla vulgata sociale che contribuiscono potentemente ad alimentare. Un esempio della loro forza simbolica è l’infiltrazione incontrollata e angosciosa della genetica in ambiti fondamentali dell’esistenza. Un oroscopo genetico sembra ormai presiedere sia alle patologie cancerose sia alla fisiologia della gestazione; in entrambe la parola «gene» è agente «virale» di una divinazione scientifica che ottunde e sostituisce la percezione di sè. Il nascituro, un tempo avvertibile solo attraverso i palpiti della carne di colei che – come vuole l’eloquente espressione tradizionale tedesca – era «in buona speranza» di aspettare un bambino, e attraverso la sensibilità empatica della levatrice, adesso si smaterializza in un duplice feticcio, quello medico dell’oggetto-«feto» visualizzato dai rilevamenti diagnostici, e quello giuridico di «una vita», astratto soggetto provvisto di diritti. Ostaggio di diagrammi di rischio affidati sempre più alla bioingegneria, il soma femminile è ridotto a un costrutto iatrogeno da cui è bandita proprio la temporalità che ne costituiva la tessitura.