L’autoreverse dell’esperienza
Euforie e abbagli della vita flessibile
«Che ne è dell’esperienza?» L’interrogativo, con il suo implicito verdetto sull’estenuazione e l’impoverimento dell’intensità dell’esperire e il dubbio radicale circa la sua stessa possibilità, percorre la filosofia e la letteratura del Novecento, e approda all’oggi ancora più sgomento. Se l’esperienza è esposizione al dolore, alla noia, al rischio, al tempo morto della passività e alle loro conseguenze irreversibili – ossia a tutto ciò che dà forma e conferisce senso al vissuto –, la nostra vita quotidiana sembra averle preferito un surrogato artificioso, una simulazione meno vulnerabile. Siamo immersi nell’euforia dell’interazione controllata, della messa in sicurezza, dell’autoriferimento senza pathos, della flessibilità svincolata dal caso, dell’atrofia dei sensi come garanzia anestetica. Attraverso quello scrutinio incrociato della letteratura e del pensiero critico contemporanei a cui ci ha abituati il suo saggismo, La Porta ci riavvicina alle ragioni antropologiche ed etiche di un’esperienza possibile, necessariamente imperfetta: proprio il contrario del comodo "autoreverse" che ci allestisce il rumoroso teatrino della cultura nazionale, abitato da postavanguardie conformiste e da fatui eversori sedotti dall’esistente.