La pittura veneziana del Quattrocento
I Bellini e Andrea Mantegna
Derivata da uno dei corsi leggendari con cui Otto Pächt ammaliava i suoi uditori all’Università di Vienna, questa monografia sulla pittura veneziana del Quattrocento restituisce tutta l’innovatività dello sguardo che l’autore seppe gettare su una delle scuole artistiche capitali dell’Occidente. Qui appare allo zenit quell’«incondizionata adesione alla cosa» che, a detta di un allievo, coniuga nel procedere di Pächt l’esercizio del metodo e l’intelligenza delle opere. La sapienza del sommo conoscitore e la sensibilità moderna dell’interprete si accordano per rintracciare le invenzioni e le costanti che fecero la grandezza della civiltà figurativa a Venezia, le assicurarono longevità e ne spinsero l’influenza ben al di fuori dei confini della città. Artefice di tanta magnificenza fu il gruppo familiare dei Bellini: il capostipite Jacopo, i suoi figli Gentile e Giovanni, il padovano che ne divenne il genero, Andrea Mantegna. Ai primi due, spesso oscurati dalla statura di Giovanni e di Mantegna, viene ora riconosciuto un ruolo che corregge la loro abituale collocazione epigonale o minoritaria. Fu soprattutto Jacopo a mediare tra il retaggio bizantino locale, riflesso nelle icone e nei mosaici, e gli sviluppi del primo Rinascimento fiorentino, e a configurare i nuovi valori iconografici testimoniati dai quaderni di schizzi conservati a Londra e a Parigi, vero atto di fondazione dell’arte veneziana. Costruzione dello spazio, tonalità della luce e del colore, visione dell’antico, scelte ritrattistiche, inflessioni del paesaggio: la decifrazione di Pächt conduce a precisare i tratti distintivi dei Bellini e la portata del distacco di Giovanni dai modi mantegneschi, il suo recupero dell’impronta paterna e i suoi rapporti con Piero della Francesca e Antonello da Messina.