Ciò si riflette in un inquadramento tecnologico, sociale e politico globale senza precedenti. Un nuovo ordine, sostenuto in ugual misura – afferma Santiago Zabala – dai nuovi filosofi realisti, dal capitalismo della sorveglianza e dal populismo di destra. E che verte su una normalizzazione radicale: ogni alterità, ogni elemento residuale, ogni scarto viene ricompreso e riassorbito nella regola.
Uno degli effetti è che oggi la più grande emergenza è l’assenza di emergenze. La stessa pandemia, ci ricorda Zabala, era stata a lungo un’«emergenza assente»: per anni gli esperti ci avevano inutilmente messi in guardia dal pericolo di una nuova, grande epidemia. Allo stesso modo, oggi, altre «emergenze assenti» restano fuori dalla cassa di risonanza dei media: la disuguaglianza economica, la crisi dei rifugiati, l’inquinamento dell’aria – responsabile quest’ultimo ogni anno della morte di sette milioni di persone.
Come sovvertire quest’ordine asfissiante? Ce lo suggerisce Zabala: tornando a essere dispersi, condizione necessaria per essere liberi. Per farlo, il filosofo recupera – attraverso l’analisi di tre concetti chiave: essere, interpretazione ed emergenza – la vena anarchica che attraversa la filosofia ermeneutica (Heidegger, Gadamer, Rorty, Vattimo, ma nello spirito anche Lutero, Freud e Kuhn). Troppo spesso presentata come disciplina conservatrice, l’ermeneutica è invece progressista: è avversa all’autorità, al dogma, al fondamentalismo; rinnova continuamente l’apertura della conversazione autentica (intesa come dialogo ricettivo, capace di frangere le rigidità del pensiero) e costruisce sempre nuovi significati dell’essere. Svela così di quest’ultimo – sotto la maschera della trasparenza, che lo rende autoritario e repressivo – la natura incompleta, opaca, ogni volta da definirsi entro orizzonti di senso condivisi. L’essere dispersi, il rischiare interpretazioni nuove, sono insomma – oggi più che mai – pratiche di resistenza politica. Le uniche, forse, atte a riconquistare e proteggere i nostri spazi di libertà.