Pechino 2008, vigilia delle Olimpiadi. Wang ha trent’anni, fa il tassista, è sposato con Yida, ha una figlia di nove anni, Echo.
Dinastia Tang, 600. Radice Amara è un eunuco al servizio dell’imperatore, ha una figlia nata da un incesto che, dopo aver rifiutato un matrimonio combinato, è costretta a prostituirsi. Cos’hanno in comune due personaggi così diversi? Tutto. Wang è la reincarnazione di Radice Amara. Glielo comunica una lettera lasciata da qualcuno sul cruscotto del taxi. L’inesorabilità del potere, raccontata in questa lettera, come in tutte le altre che Wang riceve via via nello stesso modo misterioso, è al centro del romanzo: il tassista scoprirà di essere stato una concubina nell’harem di un tremendo imperatore Ming, un mozzo su una nave durante le guerre dell’oppio, una guardia rossa adolescente... che avrà un posto speciale nella sua vita.
Parallelamente, Barker racconta le avventure e disavventure contemporanee di Wang, meno pittoresche ma altrettanto terribili di quelle dei suoi precedenti avatar: il padre, un importante quadro del partito, lo spedisce giovanissimo in un ospedale psichiatrico, dove si innamora di Zeng, un figlio del popolo rinchiuso perché gay, riuscendo poi a liberarsi e a sposare Yida, ma non a sfuggire del tutto alla persecuzione del genitore e della matrigna. L’ultima lettera che riceve svela il mistero dell’identità del loro autore. Attraverso le vite raccontate nelle missive, Susan Barker, in uno stile semplice e senza effetti speciali, ci permette di gettare uno sguardo sugli usi e costumi della Cina nei vari periodi storici, e di scoprire le radici passate di quella contemporanea: gli orrori inimmaginabili, quasi sempre illustrati attraverso i rapporti tra i sessi, mostrano come le strutture e la crudeltà del potere passino intatte da un’epoca all’altra. E quello che il potere reprime da sempre rispunta nella psiche disturbata dei personaggi contemporanei, suggerendo una lettura politica.
Se credevamo che le nostre perplessità sulla Cina «moderna» fossero pregiudizi, il suo passato – che come sappiamo insegue il presente – ci suggerisce altro.