Due casi di cronaca veri ispirano il mystery dell’estate

di Redazione | 17.05.2021

La donna del lago è il mystery che sta conquistando lettori e stampa italiana, forse perché ci racconta una storia, come accade per i più grandi in questo genere letterario, che va al di là dello svolgimento della trama e della scoperta del colpevole. Qui dentro troverete il sapore di un’epoca e di un luogo, […]


La donna del lago è il mystery che sta conquistando lettori e stampa italiana, forse perché ci racconta una storia, come accade per i più grandi in questo genere letterario, che va al di là dello svolgimento della trama e della scoperta del colpevole.

La donn del lago




Qui dentro troverete il sapore di un’epoca e di un luogo, l’America degli anni ’60, con tutti i problemi, le contraddizioni e le tensioni razziali che hanno fatto e continuano a fare la storia di quel paese.
Magistralmente raccontati da Laura Lippman, inserita tra i migliori crime novelist degli ultimi 100 anni.

L’abbiamo intervistata per voi, una discussione interessante e con punti di vista che aprono a riflessioni profonde e, speriamo, durature.

I casi di omicidio in La donna del lago sono ispirati a due casi realmente accaduti a Baltimora negli anni Sessanta, una ragazza bianca e una giovane donna di colore. Perché li hai scelti come fonte di ispirazione, cosa ha particolarmente attirato la tua attenzione?

Ho iniziato con un nucleo di idee, e cioè la riflessione su come un incontro casuale con qualcuno che ci ha conosciuti da giovani possa spingerci a riconsiderare il nostro presente. E, dal momento che scrivo crime stories, avevo bisogno di una figura molto comune, una “everyday housewife” – titolo di una canzone molto popolare della fine degli anni ’60 – insomma una donna veramente ordinaria e che però nel suo presente desiderasse di occuparsi di una cosa straordinaria, un crimine.
Una sorta di metaprogetto, evidentemente. D’altra parte non ho io stessa trovato un senso nello scrivere di morti violente? La mia vita non è essa stessa intrecciata con la morte?
Sapevo della morte di Ester Libowitz, avvenuta nel 1969, cioè da quando avevo 10 anni.

Ma non sapevo nulla di quella di Shirley Parker, avvenuta nello stesso anno a Baltimora.
Divenni poi adulta e lavoravo al giornale, prima di apprendere di questo misterioso caso.
E questo era il contrasto, la studentessa bianca, la cui morte occupò per lungo tempo le cronache cittadine e la donna nera, che sarebbe stata invece completamente dimenticata se il suo corpo non fosse stato trovato in un luogo strano, il lago di un parco cittadino.
Un caso di cui parlavano tutti, un caso a cui nessuno importava.

[Nella foto © Afro: Shirley Parker appare sulla copertina di Afro, uno tra i pochi giornali che si è occupato a lungo del caso, se volete approfondire qui il link all’articolo completo]

Quanto ti ha aiutato lavorare in un giornale nella tua carriera di scrittrice?

Un bel po’. Prima di tutto, mi rende assolutamente poco romantica nei confronti della scrittura.
Rispetto le mie scadenze, mi presento al lavoro, lo tratto come un lavoro.
A tutti piace citare Flaubert, la parte in cui ricorda ce bisogna avere abitudini ordinate per essere selvaggi e originali nel proprio lavoro. Questo vale anche per le nostre abitudini lavorative.

 

Pensi che se quello che è successo allora – due persone scomparse, una nera e una bianca – accadesse adesso – tenendo conto del movimento Black Lives Matters – la stampa e la polizia si comporterebbero diversamente?

Forse ci sarebbero alcune differenze, ma i media americani hanno ancora un problema, tendono a romanticizzare le vittime.
La morte di un bambino sarà sempre trattata in modo diverso da quella di un adulto.
Quello che non viene detto, ma è sempre implicito, è che non si considera “notizia” quando le persone afroamericane vengono assassinate o scompaiono.
I lettori o meglio, i “consumatori di notizie” sono sempre alla ricerca di quel momento per estraniarsi da una storia di omicidio, quel dettaglio che permette loro di dire: “Oh, ma a me non potrebbe mai succedere”.

Non si rendono conto che stanno usando anche i loro pregiudizi razziali in quel modo, ma lo fanno.
E una volta che finiscono di leggere, la storia scompare. Con il movimento Black Lives Matters stiamo iniziando a vedere sempre di più le persone.
È bello sapere quante persone conoscano i nomi di George Floyd e Breonna Taylor. Ma è scoraggiante quante altre vittime ci siano state nell’ultimo anno e al contempo constatare come i loro nomi non siano affatto conosciuti o ricordati.