Dalla letteratura al cinema, passando per le serie, non mancano le narrazioni contemporanee dedicate all'Irlanda. Ma non c'è solo quella contemporanea raccontata da Sally Rooney e altre autrici. Nel suo primo romanzo, "Certi sconfinamenti", Louise Kennedy ci porta nel 1975, nella periferia di Belfast, e lo fa senza nascondere nessuna piaga dell'Irlanda di quegli anni (a differenza del tono ironico preferito da altre opere). I Troubles, del resto, hanno occupato la maggior parte del Novecento, e i segni che hanno lasciato sono ancora parecchio visibili in superficie...
Louise Kennedy vive a Sligo, sulla costa nord-occidentale dell’Irlanda. Diverse teste si alzano ora, a sentire questo nome: nell’omonima contea si apre il secondo romanzo di Sally Rooney, Persone normali, che è già diventato il termine di paragone, il benchmark diremmo, per ogni romanzo contemporaneo di un’autrice irlandese.
Ma Sligo, o meglio, la baia di Sligo, è recentemente riapparsa anche su Netflix: nel primo episodio della quarta stagione di The Crown Lord Mountbatten, zio di Elisabetta, parte da Mullaghmore, dove è in vacanza, per una gita al largo. Dopo poco, la barca esplode; Mountbatten e altre tre delle persone a bordo muoiono. In contemporanea, altre bombe esplodono nella contea di Down, nell’Irlanda del Nord. È il 1979, le bombe sono state piazzate dall’IRA: Bloody Sunday not forgotten, we got 18 and Mountbatten, si dirà.
È questa l’Irlanda in cui ci porta Louise Kennedy con il suo primo romanzo, Certi sconfinamenti (Bollati Boringhieri, traduzione di Benedetta Gallo).
Nel 1975 Cushla Lavery, maestra di scuola elementare, cattolica della periferia di Belfast, si divide tra il lavoro, qualche ora al pub del fratello e la cura della madre vedova, sprofondata da tempo nell’alcolismo.
Una sera al pub incontra Michael: avvocato di almeno vent’anni più di lei, sposato con un figlio e, soprattutto, protestante. Le cosiddette coppie miste non sono viste di buon occhio: basta vedere la famiglia del piccolo Davy, alunno di Cushla, ostracizzata dalla comunità.
Le bottiglie di gin che si accumulano e tintinnano nella spazzatura, i medici che prescrivono la pillola per regolare le mestruazioni ma senza sottolineare l’aspetto contraccettivo per non indurre le ragazze nubili in tentazione: nessuna piaga dell’Irlanda è tenuta nascosta in questo romanzo, che arriva diretto, senza fronzoli, a indagare un periodo ancora non del tutto processato ai giorni nostri.
Quando Lisa McGee ha creato la serie Derry Girls, su un gruppo di studentesse cattoliche a Derry all’inizio degli anni ’90, ha voluto raccontare l’atmosfera di quegli anni con un registro comico e scanzonato. Le situazioni paradossali che le protagoniste vivono raccontano delle adolescenze qualsiasi, con uno sfondo del tutto particolare. L’episodio conclusivo della prima stagione alterna un momento gioioso delle cinque amiche alle immagini alla televisione dell’ennesimo attentato: l’effetto finale è dolceamaro.
Anche il romanzo Eureka Street (Fazi, traduzione di Lucia Olivieri) di Robert McLiam Wilson, ambientato proprio a Belfast, sceglie un tono prettamente ironico, finchè la tragedia non irrompe, e una certa malinconia si fa strada.
Completamente opposto, il Belfast di Kenneth Branagh uscito quest’anno, una ricostruzione dell’infanzia del regista che lascia molto poche speranze. I cosiddetti Troubles hanno occupato la maggior parte del Novecento, e i segni che hanno lasciato sono ancora parecchio visibili in superficie.
La scrittura di Kennedy si mantiene lucida dall’inizio alla fine: si immerge completamente nel compito di raccontare nel senso più proprio. Rimaniamo accanto a Cushla attraverso i mesi dell’anno scolastico, seguendo il suo innamoramento, i turbamenti che nascono dall’essere l’altra. Non solo l’altra donna, ma anche l’altra parte del conflitto: essere una persona diversa, con un determinato passato alle spalle, un’appartenenza specifica che si rivela in ogni cosa, dal nome alla via abitata.
Le scelte che si fanno ci formano: è un concetto rievocato nel testo, e un cavallo di battaglia di Michael, che da avvocato protestante difende spesso cattolici, ma c’è allo stesso tempo un contesto da cui non si può prescindere con leggerezza. Poter scegliere, come ha fatto Michael, è un privilegio, e persino in questa situazione non arriva senza un prezzo.
Quale sia la soluzione, non è interesse di Louise Kennedy insegnarcelo: non ci fa mai dimenticare che al di fuori ci sono meccanismi che sfuggono a ogni logica. Ogni mattina il telegiornale fa la rassegna degli eventi: rappresaglie, morti. La televisione accesa è presenza costante nelle case, e anche quando sembra un rumore di sfondo finirà per colpire qualcuno.
Nell’attenzione che Kennedy pone nel recuperare i dettagli, i gesti, gli odori e la polvere di vernice che si stacca da una finestra un po’ vecchia nell’aprirla si trova una possibile consolazione quando tutto è frustrante nella sua casualità. Nei gesti d’amore completamente gratuiti che Cushla rivolge alla famiglia del suo alunno Davy, ancora più toccanti quando sai che non ti metteranno al sicuro.
Non c’è una strada più giusta: che sia fuggire, che sia rimanere. E a volte, e questo forse è il punto più a cuore a Louise Kennedy, ci vuole più coraggio nel saper ricordare.
Fonte: www.illibraio.it